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cito testualmente pt.XIII

la leonessa si è ricongiunta al suo cucciolo e tutto va bene nella giungla.

 

kill bill vol.II, Buena Vista International, USA 2004, soggetto e regia di Quentin Tarantino.


questo fine settimana non si va a mangiare la pizza.

mi è arrivata una raccomandata son dovuto andare a ritirarla in ufficio postale fare una coda di mezz’ora era un avviso dell’agenzia delle entrate.

dice questo avviso dell’agenzia delle entrate che nel modello unico del duemilaetredici son stati fatti degli errori che devo dare loro dei soldi e che bisogna che li paghi entro trenta giorni questi soldi che devo allo stato, altrimenti potrei ricorrere in sanzioni. e che però, volendo, posso anche fare richiesta per pagarli a rate.

ventuno euro e cinquanta centesimi.

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nell’ombra

la cosa più estenuante del vivere è la sensazione che non ci sia un nesso tra la condotta seguita e i risultati ottenuti. io non so dire con certezza se sia colpa dell’evoluzione della società, oppure solo colpa mia. ma in questi anni i basamenti su cui mi avevano insegnato ad appoggiarmi si sono sgretolati tutti sotto i miei piedi. un po’ alla volta, in maniera inesorabile.

mi avevano insegnato che se mi fossi comportato bene tutto sarebbe andato bene, che se avessi studiato avrei avuto una vita migliore, che se mi fossi impegnato a fondo avrei visto i frutti del mio impegno, che se avessi amato sarei stato amato. e poi alla fine mi sarei pure guadagnato il paradiso. poi una bella domenica di ottobre mi son trovato seduto in mezzo a un prato con la ozy a guardar le montagne e ho realizzato che tutte le cose che mi hanno insegnato si sono rivelate col tempo delle solidissime fesserie. le basi sono evidentemente altre. il problema vero è che mi sembra sia ormai un po’ tardi per ripartire da capo ad appoggiare la vita su basi diverse. sempre sperando di riuscire a capire quali siano quelle giuste. illustration-for-dante-inferno-by-sandro-botticelli-inferno-942452378


che poi magari esplodo.

quando mi vedete che faccio il puro, che mi vien l’odio a vedere le coppie che si tradiscono, o perchè mi stanno strettissime le dinamiche di sottomissione familiare, quando vado in bestia perché non riesco ad accettare che il lavoro arrivi solo nelle mani di chi ha il papà giusto, l’amico giusto, il culo giusto da leccare, quando vado via di testa perché vengono considerate più elevate socialmente le persone piene di debiti con le banche, che evadono il fisco, che lasciano a casa famiglie per far fallire aziende e girano comunque col macchinone, quando mi vedete incattivito perché dico che mi sento circondato e che non capisco più cosa devo fare per tirare avanti senza farmi venire un fegato grosso così, ecco, quando faccio il puro non dovete pensare che faccio il puro perchè son nato ieri e son troppo scemo per capir come funziona la vita. faccio il puro perché sono in giro da abbastanza tempo e ho visto tanta tanta tanta di quella roba brutta che magari non mi considero infallibile, ma diciamo che un’opinione sulla gente che vedo girarmi intorno me la son già bella e fatta.

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ashes.

ci avete fatto caso, vero, che questo pur essendo il blog di un fotografo è un posto dove di fotografia si parla molto raramente. che una volta questo sito dove siete adesso si chiamava tushio.com ed era normale che si parlasse dei cavoli miei in generale. ora da un po’ di tempo si chiama sposilove.com quando gli ho cambiato nome ci si aspettava una svolta epocale, una concentrazione grande sulla faccenda delle foto di cerimonia, dei post tematici per attirare i futuri sposi sui miei servigi.
e invece non è successo, ho continuato a raccontare i cavoli miei in generale, parlando della fotografia solo quando non potevo farne a meno.

la cosa, tra l’altro, funziona anche. nel senso che il giochino del fotografo pubblicitario che i matrimoni li fa solo ogni tanto, e sul suo blog parla dei cavoli suoi senza far l’invasato dell’emozione matrimoniale, è un giochino che piace ha il suo riscontro. e infatti di matrimoni ne faccio pochissimi, esattamente quanti ne vorrei fare, e le richieste mi arrivano sempre da delle personcine a modo, mi piace.

e allora, volevo raccontare, pur parlando qui molto raramente di fotografia, non è che della fotografia mi interessi poco. ieri per esempio siamo andati a pordenone a vedere una mostra. che in realtà volevamo vederne due, volevamo andare a villa manin a codroipo a veder la mostra di man ray e poi andare a pordenone a vedere quella di pierpaolo mittica. poi invece dopo pranzo abbiam fatto un pisolino che eravam stanchi, si è fatto tardi. man ray andremo a vederlo la prossima volta, siamo andati a vedere solo la mostra di pierpaolo mittica.

di questo fotografo pierpalo mittica non sapevo grandi cose. me ne parlava una mia amica collega fotografa, la silvia, anni fa, che mi diceva cose molto belle su di lui, mi diceva che è un fotoreporter molto bravo. poi io purtroppo non avevo mai approfondito, ma insomma nella testa mi era rimasto questo nome di questo fotografo. e quando recentemente ho visto pordenone tappezzata dei manifesti che annunciavano l’imminente mostra con le sue foto ho pensato che era la volta buona che andavo a vederle le foto di questo fotografo pordenonese.

quando ho iniziato a fotografare avevo vent’anni volevo fare il fotoreporter, da grande. ho iniziato a fare questo mestiere perchè volevo prendere e andare nei posti brutti del mondo a fotografare per raccontare quello che succede. non avevo niente da perdere non avevo una casa non avevo un’auto, non avevo un cane, con la morosa ci si lasciava ogni due tre giorni, da casa dei miei sono andato via che avevo diciannove anni. di cose da perdere, qui, non ne avevo nemmeno una, quello che desideravo fare era mollare tutto e partire per il mondo a fotografare schivando pallottole con la scritta press fatta col nastro adesivo sulla schiena del gilet. voi magari non lo sapete, non avete visto i film giusti non siete mai stati in guerra, i fotoreporter nelle situazioni di merda quando la gente spara prendono il nastro adesivo colorato e scrivono la parola press, stampa, sulla schiena del gilet, o della giacca, insomma sulla schiena. che così, forse, il cecchino di turno si mette una mano sul cuore e non li ammazza.

e quando ho iniziato a fotografare, era il millenovecentonovantotto, per tre anni di fila prendevo la moto, andavo nei balcani, era appena finita la guerra in bosnia, andavo in bosnia andavo in kosovo facevo le fotografie per raccontare come si stava in un paese dove era appena finita la guerra. quelle fotografie me le han poi pubblicate, ho fatto anche delle mostre, le ho stampate per bene sono andato a fare il giro delle agenzie fotografiche milanesi, ma non c’è stato mica verso di mollare tutto e farmi mandare a fare le fotografie nei posti dove ti sparano addosso. che le agenzie le foto di quei posti lì le compravano già a quei tempi, che era già arrivato internet a spaccare i maroni, le compravano dai fotografi locali. mica mandavano l’italiano a farsi ammazzare. e per andare invece a fare i reportage nei posti di merda dove magari non ti sparava nessuno, ma dove c’era da raccontare le cose brutte che succedono, cosa ne so, in india, in russia, in cina, in quei posti dove servirebbe che qualcuno andasse a far delle foto per far sapere alla gente che sta qui qual è il prezzo per il loro benessere, mi spiegavano le agenzie che per andare in quei posti lì a fotografare ci dovevi andare a spese tue. mica ti stipendia nessuno per fare i reportage. decidi che vuoi andare nelle miniere di diamanti africane per far sapere alle fidanzate italiane che i diamanti che si fanno regalare arrivano tutti, ho detto tutti, sì, dalla schiavitù? bravo. tiri su in qualche modo i soldini che ti servono ti paghi il viaggio vai, cerchi di non farti ammazzare ti mantieni per le settimane, per i mesi che servono per trovare i contatti conoscer le persone giuste riuscire ad entrare nelle miniere fotografare gli schiavi che estraggono i diamanti poi torni qua sviluppi i rullini e ti metti a fare il giro delle agenzie e delle case editrici sperando di trovare qualcuno interessato a comprare le foto che hai fatto. poi con quei soldi che guadagni, se te li danno, un po’ li usi per pagare le bollette e l’affitto, un po’ li usi per organizzare il prossimo viaggio, il prossimo reportage fotografico.

a vent’anni ricco non ero, soldi da parte non ne avevo, la capacità per trovare dei finanziatori neanche, avevo si e no i soldi per comprarmi le macchine fotografiche, non ce l’ho mica fatta a fare il fotoreporter. poi la vita ha fatto il resto. ho fatto sì il mestiere che volevo fare, con delle soddisfazioni anche grandissime certe volte, ho aperto uno studio fotografico mio dove son contento di arrivare ogni mattina, ho una casa col giardino, ho un cane, ho un’auto bellissima, una bici, una morosa che speriamo vada tutto come deve andare, degli amici intorno a cui voglio un bene dell’anima e son molto contento. però non ho fatto il fotoreporter.

ieri, dicevo, siamo andati a vedere la mostra di pierpaolo mittica. e tra tutti i sentimenti che si potevano provare a una mostra di fotografie di reportage, io ho provato ieri quello che odio più di tutti. che è il sentimento dell’invidia.
una cosa che non sopporto, nella vita, è invidiare gli altri. e quando mi accorgo che sto invidiando qualcuno, mi sale un dolore così grande, vorrei sparire dal mondo. mi vergogno. perché con il culo gigantesco che mi son fatto per arrivare fin qui, per le cose belle che mi son capitate, e anche per le cose brutte, io vorrei tanto essere sereno così come sono, senza dover provare invidia per nessuno. per fortuna è una cosa che mi succede molto raramente.

fotografi di reportage nella vita sono andato a vederne tanti, le loro mostre. e se ho cominciato a fotografare lo devo a cartier bresson, essenzialmente. solo che mica ho mai provato invidia per cartier bresson, per sebastiao salgado, per robert capa, per quegli altri mostri sacri nel mondo della fotografia, son persone talmente lontane con vite così diverse. non posso mica fare il paragone per riuscire a provare invidia.

e invece, le foto di pierpaolo mittica, sono divise in sezioni, dei posti che ha girato in vent’anni di lavoro, la prima sezione proprio le prime foto che vedi appena cominci il giro della mostra son le foto che ha fatto in bosnia e in kosovo, nel millenovecentonovantasette. è partito da lì, gli stessi posti dove son stato io un anno dopo. e pierpaolo mittica non è mica tanto più vecchio di me. lui è del settantuno, io del settantotto. di lui non so niente, della sua vita, della sua storia, di come gli è andata, se aveva dei finanziatori, se era ricco di famiglia, se era povero, però mentre guardavo le sue foto fatte in bosnia e in kosovo ho pensato che anche lui in qualche modo ha cominciato da lì, che quando c’è stata la guerra lui è partito, giovane più meno come lo ero io, con la sua macchina fotografica, che non lo conosceva nessuno e con la voglia di fare da grande il fotoreporter. poi, ho immaginato, è tornato con le fotografie e si deve esser fatto il giro delle agenzie fotografiche e delle case editrici per trovare qualcuno che gliele comprasse e pubblicasse. e poi un po’ alla volta è andato avanti ce l’ha fatta è diventato un fotoreporter, vive facendo proprio quel mestiere lì. non ha dovuto ripiegare su altre cose pur di poter dire che faceva il fotografo. è stato bravo. molto bravo. e io a guardare le sue foto ieri ho provato quel sentimento che odio, l’invidia.

la mostra è bellissima. l’ingresso costa tre euro. se siete dei fotografi, o anche se siete quelli che gli piace di pensare di essere dei fotografi, andate a vedere a cosa serve questo mestiere. che serve a raccontare. e se anche non ve ne frega una mazza della fotografia in generale, potrebbe comunque farvi bene vedere cosa succede in giro nel mondo mentre stiamo qui a goderci l’agio in cui ci è capitato per caso di nascere.

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certe volte la gente è strana.

son tre notti di fila che dormo poco, stamattina mi son svegliato alle sei del mattino mi son rotolato un po’ nel letto poi mi son tirato su con calma ho fatto la doccia alla ozy che è stata in gita qualche giorno dai suoi amici bassotti ciuloni è tornata che puzzava come il demonio. già ieri sera si intuiva che c’era bisogno di fare un lavaggio straordinario, quando mi son svegliato ho avuto la conferma, una roba che non si respirava tra me e lei non si capiva chi aveva più bisogno di una doccia, diciamo pure che ne aveva più bisogno la ozy ma anche io che son tre notti che non dormo mica profumavo di mughetto, ci siam lavati un po’ tutti. poi mi son ricordato che la cucina aveva bisogno di una sistemata, ho  pulito la cucina poi son venuto in studio. con calma. che mi son fermato a fare colazione al bar ho incontrato uno che conosco abbiam fatto due chiacchiere.

e mentre venivo qui in studio ho pensato una cosa. che non sarò ancora diventato ricco, anche se mi riprometto di diventarlo prima o poi, ma almeno una cosa buona nella vita l’ho fatta. avere un lavoro mio che la mattina non devo correre come un deficiente per arrivare in orario, che posso fare le cose con calma, cominciare quando voglio, finire quando voglio.

che il dolore più grande da un punto di vista scolastico e lavorativo me l’ha sempre dato l’obbligo di dovermi svegliare presto per sottostare agli orari di qualcun altro, non potermi tirare su con calma. e infatti adesso non è che mi sveglio alle dieci del mattino. mi sveglio comunque prestissimo. ma con la libertà interiore che se mi vien voglia di girarmi dall’altra parte, è un problema solo mio.

poi, volevo dire, questa settimana abbiamo qui una ragazza in studio, una stylist. stiam facendo un lavoro per un cliente della moda bambino, abbiamo in studio questa collaboratrice esterna. e io non lo so, avrà ventitrè ventiquattro anni, è arrivata che ci dava del lei, a me e al mio socio, il primo giorno. le ho spiegato subito che qui non ci si dà del lei, siam gente serena giovane dentro. poi ieri ad un certo punto io avevo dormito poco il mio socio aveva dormito meno di me, era pomeriggio avevamo un umore un po’ così abbiam detto oh, facciamo che andiamo a mangiarci un gelato. e siamo andati. io, il socio, la collaboratrice esterna. e mentre ero lì con la coppetta in mano, in piazza flaminio a guardar le case dall’altra parte del meschio a pensare tra me e me ai miei casini, avevo in parte questa collaboratrice esterna che aveva voglia di far conversazione mi ha fatto una raffica di domande anche molto personali io ad un certo punto mi son dovuto imbarazzare.

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chissà se va.

ma sì che va.


il senso della vita.

sabato ero da solo senza la signorina che aveva le sue cose da fare, ho pulito casa poi sono andato a fare un giro in bici.

che tra una cosa e l’altra era un mese che non uscivo a pedalare, voi che siete miei lettori abituali sapete tutto sulle mie crisi dei quarantanni premature sulle mie bici sulle scemate mie varie non devo spiegarvi niente, quelli che invece son capitati qui per caso andate indietro a leggere se avete voglia se non avete voglia ve la faccio breve, è un annetto che mi son messo a pedalare faccio dei giri in bici.

e allora, visto che era un mese che non pedalavo, e col fatto che la vita è cattiva, nonostante sia un anno che ho smesso di fumare completamente, la vita ultimamente è stata un po’ cattiva, nelle ultime due settimane ho ceduto alle tentazioni ho fumato tre sigarette, devo dire che sabato fisicamente non ero proprio pronto preparato tonico in pieno allenamento.

ed erano dei mesi che pur avendo fatto fino ad ora dei giri anche molto lunghi molto impegnativi con dei dislivelli mica da ridere erano appunto dei mesi che dicevo alla signorina che prima o poi dovevo provare ad andare su in cansiglio partendo qua da vittorio. chi è di queste parti sa di cosa sto parlando, per gli altri basta sapere che è una strada in salita ma in salita di quelle cattive che in dieci chilometri va su di mille metri d’altitudione. che per uno bravo e allenato è fattibile, ma per me che sono un cialtrone trentaseienne grande bevitore di birra ex fumatore con qualche problemino di asma invece è una robetta non indifferente. insomma eran mesi che dicevo devo farlo ma mi era sempre mancato il coraggio. che quella salita lì è proprio tosta mi faceva paura.

sabato son partito in bici, ho fatto un rapido pensiero ho pensato bene è un mese che non mi muovo che bevo birre che ho rifumato delle sigarette dove posso andare a fare un giretto tranquillo oggi per rimettermi a posto? su in cansiglio partendo da vittorio. così crepo, e non se ne parla più.

e allora cosa dovevo fare, son partito in salita. sono arrivato su in cima, pensavo di non farcela, e invece sono andato su tutto d’un colpo non mi son dovuto fermare per riprendere fiato, evitare che mi scoppiasse il cuore, pensavo che dopo un mese fermo non ce l’avrei fatta, e invece sono arrivato in cima son stato bravo, son soddisfazioni.

solo che mentre andavo su, per non cedere alla tentazione di fermarmi, o addirittura di girar la bici e tornare indietro, che era dura davvero, tenevo impegnata la testa con riflessioni molto profonde. che sta arrivando l’autunno, lungo la strada ci son parecchi alberi di castagne, ad andare su in cansiglio, non le castagne normali, le castagne matte. lo sapete tutti, quelle grosse, non si è mai capito se si possono mangiare oppure no, nessuno ci ha mai provato, beh insomma pedalavo guardavo in basso per non guardare avanti, tutti quelli che vanno in montagna, a piedi, in bici, quel che è, la prima cosa che gli dicono è quando sei stanco non guardare avanti, non guardare la salita. cammina, pedala, fai quel che devi fare e guarda per terra. se no il cervello vede la salita e ti fa mollare, ti spaventa ti convince che non ce la fai e molli di sicuro.

e infatti io ad un certo punto pedalavo, guardavo per terra, vedevo le castagne matte che eran cadute in strada, le macchine che eran passate le avevano schiacciate. e c’erano tante di queste castagne matte sfrappolate per terra. e siccome aveva piovuto c’era bagnato, c’era anche pieno di slacai.

in italiano si chiamano limacce, son le lumache senza il guscio, qui in veneto le chiamano slacai, che evidentemente questi slacai a differenza di noi uomini che le castagne matte non le calcoliamo neanche nel nostro piano alimentare, loro le castagne matte invece le tengono in grande considerazione, era pieno di slacai che correvano sull’asfalto a mangiarsi queste castagne matte schiacciate. solo, bisogna dire, guardando per terra, un grandissimo numero di questi slacai giaceva a sua volta sfrappolato sempre dagli pneumatici delle macchine.

tutto questo pedalare guardando questo sfrappolamento generale di castagne e slacai sull’asfalto, tutta questa distruzione e morte, mi ha portato poi ieri, che era domenica, a interrogarmi in presenza della signorina davanti a una pizza su quale sia il senso della vita.

eran delle riflessioni che non facevo dai tempi delle superiori, chiedermi che senso abbia stare al mondo, ieri ho passato un paio d’orette a riflettere su cosa ci stiamo a fare qui.

un’altra cosa che col senso della vita non c’entra, ma c’entra col giro in bici, è uscito un disco nuovo dei black stone cherry, che sono un gruppo niente male a me piacciono molto ogni volta che fanno un album capitano a fagiolo in un periodo della mia vita un po’ così, anche quando era uscito tre anni fa il loro penultimo disco hanno in qualche modo contribuito ad evitare che la mia testa se ne andasse definitivamente allo sfacelo. adesso in questi giorni è uscito il loro disco nuovo e mentre andavo su per la salita pensando agli slacai sfrappolati mi girava in testa il ritornello di questa canzone loro nuova del disco appena uscito e andando su per la strada pedalando mi son ritrovato anche a cantarlo a voce molto alta questo ritornello. sapete quando vi entra in testa una canzone e non vi molla più continuate a cantarvela senza riuscire a mandarla via. e devo dire che anche questa volta il disco dei black stone cherry, pur sembrandomi così ai primi ascolti meno bello rispetto ai precedenti, avrà un ruolo nell’evitarmi un altro sfacelo mentale. la canzone di cui sto parlando ve la metto qui. che se non l’avete mai sentita potrebbe piacere anche a voi, se invece ve l’ho fatta ascoltare ieri in macchina ma magari eravate distratti da altre cose l’avete sentita un po’ male e non vi è piaciuta molto, ora potete darle una seconda possibilità, chi lo sa può essere che a riascoltarla con calma ora vi possa piacere un po’ di più. e se poi invece non vi piace proprio per niente, pazienza.


e poi stare a vedere di nascosto l’effetto che fa.

ci son delle volte, alcune persone che ho intorno, mi piacerebbe essere capace di fargli guardare le cose come le vedo io. anche solo per cinque minuti.


una cosa da chitarristi.

tra le varie cose che  faccio, suono la chitarra in un paio di gruppi.

uno di questi gruppi, dopo due tre annetti di furore, si è sciolto ieri sera. che il nostro cantante gli ha preso un colpo di genio si è licenziato dal lavoro, anche la sua morosa si è licenziata dal lavoro, prendono e partono vanno in giro per il mondo a godersi la vita.

e li invidio anche tanto, che son degli anni che dico che vorrei piantar tutto vendere tutto e andarmene via viaggiare e andare a veder se trovo delle cose interessanti da qualche altra parte, che qui certe volte mi sembra tutto marcio tutto un fastidio tutta una tassa da pagare.

comunque ieri sera il mio cantante e la sua morosa hanno fatto una festa di addio, di arrivederci, hanno invitato i loro amici i loro colleghi suonava un gruppo a intrattenere la gente, una bella band che fanno i pezzi anni ottanta tipo enola gay, big in japan, son bravi a suonare.

e poi ad un certo punto abbiam suonato quattro pezzi anche noi. non un concerto intero, che il cantante nostro aveva da stare appresso ai suoi amici, ai suoi ospiti, mica potevamo suonare tutta la sera, abbiam fatto quattro pezzi giusto per dire che era l’ultima volta che suonavamo e pavoneggiarci un po’ con i presenti, che a suonare siam bravi abbiamo sempre avuto una bella spinta.

se adesso vi aspettate che scrivo una cosa strappalacrime, che mi dispiace che si sia sciolto il gruppo, che è stata un’emozione forte che alla fine ci siamo abbracciati tutti piangendo, ecco, no.

che siam tutti contenti che si sia sciolto il gruppo, non facevamo mai date, nessuno aveva mai voglia di sbattersi per cercare posti in cui suonare, e anche quando suonavamo in giro non veniva comunque quasi mai nessuno a sentirci. e poi abbiam tutti una vita incasinata, le serate della settimana tra una roba e l’altra siam sempre impegnati, è difficile riuscire a far tutto. e invece da adesso in poi il martedì sera siamo liberi di fare le nostre cose.

ecco, quello che volevo scrivere è che dovete sapere che io, pur essendo ormai trentanni che suono la chitarra, non son mica tanto bravo a suonarla. anzi. diciamo che sono un po’ una schiappa. non ho mai preso lezioni ho fatto tutto da solo e neanche mi applico più tanto sullo strumento, un ragazzetto che studia seriamente da due tre annetti mi fa tranquillamente un culo così.

però c’è una cosa da dire che è importante. che pur non essendo tanto bravo a suonare, una roba che son sempre stato bravissimo è avere un bel suono. che per chi non sa le faccende chitarristiche, indipendentemente dal saper suonare male o bene, la chitarra elettrica non è mica come il pianoforte a coda. che se spendi centomila euro ti porti a casa uno steinway e ha un suono bellissimo, se invece sei povero spendi settecento euro compri uno yamaha e ti accontenti. lì è facile. è solo una questione di ricchezza. e lo strumento è quello, finisce lì. al massimo il suo suono varia a seconda della stanza in cui lo metti, ma non facciamola troppo complicata, avete capito cosa intendo.

La chitarra elettrica invece è una roba un po’ diversa. che c’è la chitarra con tutte le sue componenti le corde i legni i pickup l’hardware, i pedali con gli effetti, l’amplificatore, i cavi di collegamento, tutto un delirio di scemate che concorrono a dare un suono, che può esser bello o brutto. e se c’è una cosa che posso dire senza finta modestia, le mie chitarre che due me le son fatte io una l’ha fatta il mio amico liutaio, i miei pedali che ormai ho eliminato quasi tutto ne è rimasto uno solo, i miei cavi, il mio amplificatore, io ho sempre avuto un gusto per come mettere insieme la roba, una logica, un modo di usare lo strumento in relazione all’amplificatore, una passione, ho sempre messo insieme un’attrezzatura per suonare che con rispetto parlando butta fuori un suonone che spacca il culo. e non è mica mai stata roba costosa, come uno steinway.

ecco, quello che volevo dire, alla fine dei miei concerti arriva sempre qualcuno a dirmi oh vecchio avevi un suono esagerato.

mai nessuno che mi abbia detto oh vecchio che bravo che sei a suonare.

che bravo, non è mai successo. che bel suono, tutte le volte.

e allora, ieri sera, dicevo, abbiam suonato questi quattro pezzi. stava suonando l’altro gruppo, han fatto una pausa, siam saliti noi abbiamo usato a scrocco i loro amplificatori. che in queste situazioni per far prima si fa con quello che c’è, ti porti la tua chitarra il tuo cavo e ti attacchi all’amplificatore dell’altro chitarrista.

in mezzo minuto ho regolato l’amplificatore di quell’altro come piace a me, che gli amplificatori han tutte le loro regolazioni alti medi bassi volume riverbero quelle cose lì, le manopoline da girare.

e abbiam suonato le nostre quattro canzonii.

poi abbiam finito abbiam lasciato posto all’altro gruppo mentre si avvicinava l’altro chitarrista, quello che gli avevo usato l’amplificatore a scrocco gli ho detto scusa sai che ti ho cambiato un po’ le regolazioni.

eh no, mi ha detto lui. adesso invece mi spieghi bene bene come lo hai regolato, che avevi un suono della madonna io un suono così non l’ho mai sentito.

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ci si è alluvionato lo studio.

ha piovuto il fiume ha esondato ci siam ritrovati nel fango ci siam tirati su le maniche e le braghe son venuti degli amici e in due giorni abbian ripulito tutto.

la vita certe volte è così. sei lì che tiri avanti e magari trovi anche il tempo di lagnarti perché ti sembra sempre che quello che fai non sia mai abbastanza, perché i clienti son rognosi, perché fai fatica a farti pagare i soldi che ti devono perché speri che dopo aver pagato le tasse avanzi ancora qualcosa per andare in vacanza una settimana. e magari trovi il tempo anche per provare delle invidie per quelli che i problemi così non ce li hanno, che son sempre felici abbronzati col macchinone con la barca con l’aperitivo con l’amante con l’armadio pieno di soldi neri.

poi una domenica mattina ti capita un casino grosso, che ti ritrovi coi piedi nell’acqua e l’unica roba che puoi fare è metterti lì e risolvere il problema. e sperare che qualcuno abbia voglia di darti una mano.

e poi si ricomincia canticchiando new day rising deli husker du. io normalmente, dopo le esondazioni, la canticchio in questa versione qui dei motorpsycho.

voi che siete più commerciali e dalle orecchie delicate potete canticchiare all’occorrenza questa versione qui sotto, che è un po’ più a modino.

 


poi dice che gli imprenditori si suicidano. per forza.

sto attraversando un periodo un po’ così, questa crisetta dei quarant’anni che ce l’ho addosso da quando ne avevo sedici, non mi molla più vado a periodi, ho questi vizi stupidi che un po’ mi dissanguano, un po’ mi tengono vivo. e cosa devo farci, mi tocca convivere con la testa che ho, come tutti.

insomma, per dire che ieri ero da un cliente dalle parti di montebelluna, mi son detto spetta che dopo quando torno a casa passo dal concessionario e magari faccio una scemata.

poi dal cliente ho fatto tardi, quando son tornato a casa son passato dal concessionario era già chiuso. ma da poco, secondo me. e se trovavo aperto io lo so che la scemata la facevo.

poi questa mattina son passato invece dal commercialista dovevo portare delle fatture lasciarle lì e tornarmene in studio a fare le mie cose e invece fermo lì, mi ha detto, che ti do due robette. le due robette erano l’iva del trimestre, la prima rata dell’inps e il conto del commercialista. a tirare una riga e fare il totale, con quei soldi lì che adesso devo spendere di iva di inps e di commercialista, ieri dal concessionario di scemate potevo permettermene due, mica una sola.

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una cosa da audiofili pt. II

io con tutto quel che ho patito musicalmente quando facevo il fotografo che lavorava negli studi degli altri, che mi toccava passare le giornate a sentire gianna nannini vasco rossi biagio antonacci a ripetizione, ora non ce l’ho mica il cuore di dire al mio socio di là in sala posa che è tutto il giorno che ascolta dei gran requiem a cannone dentro lo stereo molto bello e audiofilo che ho messo in studio, io non ce la faccio a dirgli che con l’umore che ho addosso oggi io non ce la faccio mica più ad ascoltare questi requiem. che normalmente li apprezzerei anche tanto, e invece oggi mi stanno facendo saltare per aria la testa.

 


della roba gialla.

ogni tanto arriva la gente mi dice oh è un po’ che non scrivi. me lo fanno notare. e a me fa anche piacere che mi facciano notare che è un po’ che non scrivo, solo che se non ho niente da raccontare, cosa scrivo?

che di solito racconto le cose interessanti che mi capitano, io sono dieci giorni che sto combattendo con un virus intestinale molto agguerrito che se anche non vi racconto dettagliatamente cosa mi sta capitando da dieci giorni a questa parte, secondo me va bene lo stesso.

comunque se proprio devo scrivere una cosa che mi è successa, posso scrivere che son stato a treviso questa mattina poi son tornato su, mentre tornavo su in autostrada e poi fuori dall’autostrada mi han strombazzato in tre macchine, con della gente dentro che mi salutava. che io è ormai più di un anno che ho questa macchina di un colore un po’ particolare, è anche scappottata, son parecchio visibile ho perso la mia privacy, sanno sempre tutti dove sono.

che se hai una macchina normale come ce l’hanno tutti e vuoi combinare delle marachelle, in qualche maniera fai, io invece non posso più, mi beccano subito.

oggi mi han salutato in tre, con grandi strombazzamenti di clacson. solo, io non lo so chi erano questi tre che mi han salutato, che se è vero che io son parecchio visibile e riconoscibile, gli altri chiusi dentro le loro macchine io non so mica chi sono.

e quindi niente, tutto qui, ciao.

magari nei prossimi giorni mi succede qualcosa di più interessante da raccontare, speriamo.

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a milano sono tutti artisti.

ieri son stato a milano son partito da casa alle quattro del mattino son tornato a casa alle tre e mezza di questa notte.

questo lo dico non tanto per fare il fissetto che sto in giro ventitrè ore e mezza, ma perchè poi non è che posso sentirmi dire aaaaah ma perchè non ti sei fatto vivo perchè non sei passato perchè non hai chiamato. son stato via ventitrè ore e mezzo non ho avuto il tempo neanche per mangiare stavo lavorando quindi non mi son fatto vivo.

e allora, si sa, io con milano ho un brutto rapporto, mi fa venire un malessere, arrivo lì sempre un po’ prevenuto. ed esser lì ieri, in questi giorni di salone del mobile, ho visto passare tanta di quella gente, una cosa che non ho potuto fare a meno di notare eran tutti vestiti addobbati in una maniera strana. che facevano tutti a gara a chi era più originale più strambo. quelli con la testa mezza rasata, quelli con la barba verniciata di rosso, quelli col completo celeste, quelli con la giacca rosa a quadretti come la tovaglia dell’osteria, quelli con gli occhiali di otto colori che neanche benetton, quelle con le scarpe a zeppa dorata, dei vestiti di colori mai visti, non sto a tirarla tanto lunga ma giusto per capire che ad un certo punto mi sanguinavano gli occhi.

che li guardavo e pensavo ma se siete tutti lì che fate a gara a chi si veste più strano per sentirvi diversi dagli altri, ma poi siete tutti vestiti strani, non c’è più gioco, non vi accorgete che siete tutti uguali, mandria di pecore.

e pensavo anche che se vi vestite così perchè poi siete degli artisti, o sembrate degli artisti, o dei designer, che anche i designer si vestono strani di solito, io un paio di artisti veri li conosco son due amici miei son bravi è gente che ha studiato che son diplomati che fanno delle mostre vivono della loro arte espongono alle biennali riaffrescano i teatri delle fenici, loro che son due artisti veri se volete ve li porto qui ve li presento, si vestono di merda. e anche quella volta che si vestono bene la domenica per andare a messa han delle mani sporche di pittura tutte rovinate che con voi non c’entrano niente, gli artisti.

e allora poi andavo a pisciare c’era l’uomo delle pulizie. un cileno. dico cileno non lo so se era cileno, aveva i tratti somatici tipici del centro america, e niente lui era vestito con dei jeans e una felpa col cappuccio, ho pensato guardalo qui l’alternativo vestito diverso. che si fa notare per il suo stile.

e poi pensavo anche ecco vedi che non son capace, che questo, col lavoro che faccio, dovrebbe essere il mio mondo, ci dovrei stare bene insieme a questa gente milanese, vedi che se ancora non sono diventato ricco sfondato un motivo c’è, è che non riesco ad esser come loro.

poi ad un certo punto mi han portato ospite a casa di un famoso dj, uno che parla in radio non vi sto a dire chi è, solo è molto famoso uno che parla in radio che nel panorama italiano è molto conosciuto e stimato siamo andati a casa sua è stato molto cortese abbiam parlato era lì tutto figo, che lui è famoso, camicia nera attillata jeans costosi lo guardavo in faccia e ne percepivo il fascino, di quest’uomo di successo molto famoso e dicevo ecco, guarda qui.

e lo guardavo e pensavo certo che però è strano cosa avrà di strano, la faccia, è strana, è pelato e va bene, ha il nasone e va bene, ma è strano, poi mi sono accorto, la barba. era tagliata in una maniera che non avevo mai visto.

stamattina son tornato a casa alle tre e mezza sono andato a dormire qualche ora poi mi son svegliato sono andato per depilarmi la testa, che ero un po’ trascurato, mentre ero davanti allo specchio mi son guardato ho detto dai che proviamo. e mi son lasciato la barba tagliata strana come questo famoso speaker radiofonico pelato col nasone con la barba tagliata strana. poi mi son vestito per uscire ho messo una camicia attillata e dei jeans costosi che ho pensato dai che ci proviamo. oggi esco di casa vestito da artista alternativo di successo. vi faccio poi sapere se funziona.

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sulla crisi dei quarant’anni pt.II

qualche mese fa avevo scritto questa cosa qui dove raccontavo del mio amico che aveva un bel periodo di merda poi gli era passato. mi aveva dato il destro per parlare del fatto che con la vita scema che facciamo, certe volte proviamo a coccolarci con degli oggetti.

e niente ieri sera mi ha telefonato questo mio amico mi ha detto oh volevo dirti che l’ho finita, è venuta benissimo son contentissimo. un po’ come avere in anticipo il regalo di natale. domattina vengo lì andiamo a berci il caffè.

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la donna la donna la donna… ohll’omo?!

il titolo di questo post è una citazione dal film Berlinguer ti voglio bene, di Giuseppe Bertolucci, 1977. un bel film, se non l’avete visto provvedete a colmare la lacuna.

questa mattina sono andato a far colazione al bar, come consuetudine, e mancando parcheggi liberi ho gironzolato due secondi davanti al bar ho visto una macchina che stava uscendo da un parcheggio mi son messo lì fermo ad aspettare che uscisse così mi ci parcheggiavo poi io.

solo che la macchina che stava uscendo dal parcheggio era un suv e chi la guidava era una femmina.

ci ha messo tre minuti di orologio a venir fuori ha fatto cinque sei manovre. e non era un parcheggio difficile spazio ne aveva anche tanto.

e allora vorrei rendervi partecipi di una mia teoria.
che poi quando finite di leggerla se siete superficiali pensate eccolo qua il solito maschilista. e invece no, se ci pensate bene la mia è una teoria che si dispiace per le femmine vittime del maschilismo dei loro mariti.

la teoria è questa qui. ci sono le femmine che non sanno guidare. anche di maschi che non sanno guidare c’è pieno, ma con la mia teoria ora i maschi che non sanno guidare non c’entrano. allora dicevo, le femmine che non sanno guidare loro poverette lo sanno anche, di non esser capaci. e se fosse per loro andrebbero in giro con delle macchine piccole, facili da guidare. ve le ricordate le lancia y10, non quelle di adesso, quelle che giravano negli anni novanta col portellone dietro dritto nero? anche lì avevo una mia teoria, che se vedevi passare una lancia y10, alla guida c’era nove volte su dieci una figa pazzesca, provate a far mente locale, a ricordarvi, vedrete che ho ragione io.

e invece da dieci anni a questa parte le femmine che guidano male, che son sicuro se fosse per loro guiderebbero una macchinina senza pretese che anche se la sbatti da tutte le parti pazienza, loro un bel giorno si trovano un moroso, che poi magari se lo sposano anche. e il moroso, non uno povero, dico un moroso che va dal mediamente benestante al ricco sfondato, questa femmina che si è sposato la ama anche, le vuol del bene. e sa benissimo che questa femmina che si è sposato non è capace di guidare. e allora cosa fa, perde un paio di giornate a spiegare alla sua femmina come si fa a fare un parcheggio decente o a entrare e uscire da una rotonda come si deve? no. perchè la femmina in questione è anche una femminista orgogliosa, e odia che il suo maschio si metta lì a spiegarle come funziona la vita. e bisticciar con la propria moglie è una seccatura che uno se la evita anche volentieri. e allora, il maschio fa un altro ragionamento e dice: amore mio io ti voglio bene e la prima cosa che voglio per te è la salute. non mi va che ti fai male, che rischi di piantarti contro un platano. e questo fatto che guidi di merda, io non sto tranquillo, perchè lo so che prima o poi ne combini una delle tue. e allora sai cosa faccio? ti compro io una bella macchina. ma non una lancia y10, no. ti regalo una specie di carro armato blindato sicurissimo, un suv. che se anche esci male da un parcheggio o giri senza mettere una freccia o sei distratta perchè ti stai rifacendo il trucco a ottanta all’ora in tangenziale, tu con quel suv che ti regalo io non ti fai male neanche se ti impegni. al massimo ci metterai due ore per liberare un parcheggio e quelli dietro che aspettano di parcheggiare al posto tuo per far colazione, che si fottano. ora ci penso io guarda qua.

e allora va da sè, in giro c’è pieno di quarantenni che pur di non farsi spiegare e insegnare qualcosa da un maschio, rischiando così mettere in discussione il loro orgoglio femminista, guidano dei suv giganteschi e non sono capaci. e quando le guardi mentre cercano di uscire da un parcheggio glielo leggi negli occhi che loro quella roba lì non la volevano. che se fosse stato per loro sarebbero ancora in giro con la loro lancia y10 come quando eran delle fighe pazzesche diciottenni.
e invece non possono, poverine. mi fanno una pena che non ve la potete immaginare.

s’apra il dibattito.

(anche s’apra il dibattito è una citazione da berlinguer ti voglio bene, in realtà non mi interessa dibattere sull’argomento)

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ho paura del buio.

quando ho visto bennato mi è venuto un po’ di affanno.
ma son gusti.

poi tutto il pipone che se preordini su itunes hai in omaggio daniele silvestri ma prima samuel poi dopo anche quell’altro dopo una settimana ma prima devi dire tre avemaria e un padrenostro… porcocane io una volta agli afterhours gli volevo tanto bene, ma adesso che fatica.

però a sentirli ci andrò poi lo stesso.

Afterhours-©Ilaria-Magliocchetti-Lombi-2014


ogni tanto, una gioia.

perchè io a pranzo son passato da casa, ho tirato dentro lo stendino dei panni.

piove


il segno di una resa invincibile pt. X

sabato sono andato a una festa in maschera ero vestito da lupin.
con le basette la giacca rossa la camicia celeste la cravatta rosa la macchina gialla e la pistola. c’era pure margot, non mancava niente.
solo che lupin gli occhiali non ce li ha mai avuti, io invece son miope, non ci vedo da lontano, porto gli occhiali lo sanno tutti.

e cosa dovevo fare, se ci si veste da carnevale lo si fa per bene, prima della festa sono andato dall’amico ottico mi son fatto metter su per l’occasione delle lenti a contatto, che da solo non son capace me le ha messe su lui. e sono andato poi in giro tutta la sera senza occhiali non ero abituato mi sentivo anche un po’ a disagio.
che non muovevo un passo senza occhiali da quando ero in seconda media. ed è passato del tempo, dalla seconda media.
gli unici momenti che son senza occhiali son quelli in cui mi lavo, dormo o faccio l’amore.

che far l’amore con gli occhiali, tenerli addosso quando si fanno certe manovre è molto scomodo. però, bisogna dire, far l’amore senza veder bene quello che sta succedendo, è un po’ una seccatura anche quella.

prima sono arrivato qui in studio, il mio amico macs mi ha lasciato ieri il suo cavo del basso, che macs è anche il bassista dei gruppi in cui suono, non funzionava più il suo cavo rosso credo ci sia affezionato, ieri sera avevamo le prove col gruppo quando abbiam finito gli ho detto lasciamelo qui che ti rifaccio le saldature. e allora questa mattina sono arrivato, ho visto il cavo sul tavolo ho pensato dai che lo faccio subito.

e mentre rifacevo le saldature facevo fatica a veder bene cosa stavo facendo, era tutto un po’ appannato un po’ sfuocato, non capivo. e già questa mattina era partita di traverso per degli altri motivi ero lì che saldavo mi è venuto lo sconforto, ecco, è fatta. neanche trentasei anni sto già diventando presbite, ma che vita brutta io non lo so.

potrei dare per scontato che sappiate tutti cosa vuol dire presbite, o mandarvi anche stavolta su wikipedia. non vi ci mando ve lo dico io, presbite vuol dire che non ci si vede più bene da vicino, succede quando si comincia a invecchiare.

e che due maroni, ho pensato. miope da una vita va bene, ma adesso diventar presbite, invecchiar già ora, farei volentieri a meno.

poi dopo un po’ mi è venuto il dubbio ho tolto gli occhiali, ho guardato, eran tutti impolverati unti pieni di ditate, chissà cosa ho combinato ieri sera dopo prove.

e dai che forse non sto invecchiando.

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fotoamatori, non ne fate una giusta.

e nel combinarne continuamente una più di bertoldo, fate passare me per rompicoglioni di pesantezza inaudita.

vi si fa notare che non siete fotografi professionisti e quindi che sarebbe ora la smetteste di chiamarvi e farvi chiamare fotografi.
e ormai son sicuro che ve lo dice anche vostra mamma quando vi incontra la domenica a pranzo che dovete smetterla.

finalmente dopo anni passati a sfracellarvi i maroni forse vi è entrato in testa, sarebbero soddisfazioni. e invece cosa mi tocca leggere su degli organi di stampa ufficiali?

che siete degli artisti.

ma non ce l’avete un pochino di dignità? e allora basta andatevene affanculo da soli che io non ho la forza neanche per prendere il fiato e mandarvici.
di voi, qui, non parlo più, fate come vi pare. son stremato.
avete vinto, artisti.

e voi altri, che ogni volta che sparo sui cialtroni venite a dirmi ah bravo hai fatto proprio bene glielo volevo dire pure io ma poi però.
ecco, anche voi, sapete dove potete andare.

io più passa il tempo più son convinto che se non crepo perchè mi han bruciato vivo appiccando il fuoco nottetempo al mio appartamento, creperò comunque da solo.
che a mandar sempre tutti a cagare, sai quante belle amicizie che si mantengono.

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per i nuovi fotografi matrimonialisti.

dico quelli in regola, i professionisti.

io lo so che state facendo il vostro lavoro e che vi siete creati il vostro personaggio e avete trovato il vostro metodo e che le cose vi vanno anche bene son felicissimo per voi giuro che non sono mosso da invidia, che veder gente giovane che ce la fa con questo mestiere, son contento davvero.
e so anche che son rognoso e antipatico.
ma volevo chiedervi, per favore, se vi riesce ogni tanto di scrivere un post su facebook, dico uno ogni tanto, in cui non usate la parola emozione. e in cui non vi commuovete. in cui non vi viene da piangere. in cui i vostri sposi non sono bellissimissimi, ve ne sarei tanto grato.
un po’ perchè fate venire da vomitare. e un po’ lo dico anche per voi, che prima o poi a qualcuno nel leggere che siete sempre emozionati commossi coi lacrimoni, gli verrà pure il dubbio che siete falsi in una maniera oscena e schifosa.

ve l’avevo detto che arrivava, vi avevo avvisati. non vogliatemene, prima o poi mi farò perdonare.

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corso online di fotografia applicata pt. VI

arrivate la mattina in studio, tanto per cambiare piove, siete in bici perchè la macchina ve la riconsegnano forse stasera, il carrozziere.
la tuta cerata integrale qualcosa fa ma avete i piedi fradici, entrate in ufficio vi togliete tutte le robe bagnate restate addirittura scalzi sulle fredde piastrelle rosse, caricate la stufa a legna che non vedete l’ora di darvi una scaldata.

solo, come può succedere, ieri il socio deve aver imboscato l’accendino da qualche parte non si trova, magari gli è rimasto in tasca. e chissà quando arriva in studio stamattina, che è da un cliente.

e allora, cosa volete fare? rivestirvi rimetter su i calzetti bagnati rimontare in bici e andare fino dal tabaccaio a comprare un accendino?
bestemmiare e lasciarvi congelare in un angolo?
strofinare legnetti per tutta la mattina sperando nel miracolo?

rimettervi i calzetti bagnati, neanche morti. bestemmiare, boh, sì, ma tanto crepate di freddo lo stesso. sperare nel miracolo, dopo che avete bestemmiato, c’è poco da sperare.

e mentre riflettete sulla molteplici possibilità che vi si parano innanzi, accorgetevi che i vostri piedi, lì sotto, stanno cominciando a raffreddarsi considerevolmente.

ricordatevi a questo punto che siete dei fotografi professionisti e che, a differenza dei fotoamatori da quattro soldi, avete di sicuro in studio delle cose con cui potreste fabbricare, se solo lo voleste, delle bombe termonucleari. ad esempio un faro da duemila watt come questo

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dei liquidi altissimamente infiammabili tipo questo

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e abbondante materiale di scarto da usare come innesco. tipo questo

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se avete anche un cervello che funziona, e oltre che fotografi professionisti avete anche un passato da piromani, in dieci minuti avrete risolto ogni problema.

e ora, dopo esservi pubblicamente vantati della vostra raffinata astuzia, mettetevi a lavorare che è tardi.

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ma come fate?

ho preso una macchina a noleggio questo fine settimana appena passato, che ho la mia dal carrozziere dovevo andare a far dei lavori in casa da un’amica ho preso una macchina a noleggio, sono andato.

e la tecnologia, ho visto, i passi da gigante. che la mia macchina ha qualche anno, tecnologia non ne ha, non ha nemmeno, per dire, la spia della riserva della benzina. che non è che si è fulminata la lampadina, non c’è proprio. è fatta così, un po’ essenziale. che quando la accendi, la prima cosa che fa, urla jinba ittai.

che ovviamente jinba ittai non sapete cosa vuol dire, non è una cosa importante da sapere, ma se siete curiosi ve lo andate eventualmente a cercare su wikipedia mica posso spiegarvi sempre tutto io.

e allora, niente, son partito con questa macchina moderna. neanche il tempo di uscire dal garage è partito il bip bip lancinante che voleva che mettessi immediatamente la cintura di sicurezza. giusto, mettiamola subito che non si sa mai. poi al primo semaforo si è spento il motore. lo start and stop. e finchè è al semaforo posso capire. ma poi si spegneva anche quando mi fermavo un attimo per entrar su una stradona. un’agonia. e allora cosa dovevo fare, ho acceso l’autoradio ho messo dentro un disco che mi ero portato da casa, un bel disco avevo voglia di ascoltarlo a un volume un po’ alto che mi ero svegliato da poco, ad un certo punto rallentavo a un’incrocio mentre rallentavo si abbassava il volume della musica. che siccome il motore fa meno casino quando rallenti, pensano di farti un piacere ad abbassarti il volume della musica. maledetti. e poi si è messo a piovere, i tergicristalli andavano alla velocità che volevano loro, mica glielo puoi dire tu a quanto devono andare. poi schiacciavo per sbaglio un pulsante sul volante, la macchina ha iniziato a parlare, mi ha chiesto se volevo qualcosa. eh, mi andrebbe un caffè, le ho detto. mi ha risposto che lei il caffè, non sapeva.

ho provato alla fine a scoreggiare, veder se magari il finestrino si abbassava da solo, a quel punto ero anche curioso.
e no, non si è abbassato.

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