ne vale la pena.
settimana scorsa ero a prove con quelli del gruppo in cui suono e si parlava di cene di pesce, prima di cominciare a suonare, mirko raccontava di questo ristorante dove va ogni tanto a eraclea, diceva che ci si mangia bene ti portano un mucchio di antipasti si spende un sacco di soldi ma ne val la pena. e infatti mi son segnato subito il nome e già sabato ero lì che dicevo alla signorina cosa ne pensi se questa sera che piove non c’è niente da fare tu e io prendiamo e andiamo in un posto a mangiare a eraclea che si mangia il pesce come dio comanda non ci son mai stato ma me lo ha consigliato mirko e mi fido?
a eraclea? perfetto, così visto che siam di strada possiam passare un attimo in un centro commerciale lì a noventa c’è un negozio non mi ricordo già più come si chiama distrazione tessile una cosa così andiamo a veder se trovo delle scarpe.
e visto che ormai nella testa avevo già gli antipasti di pesce che giravano ho detto di sì che ci andavo volentieri, in questo centro commerciale al sabato pomeriggio a cercare delle scarpe prima di andare a mangiare pesce.
poi mentre eravamo in macchina mi son reso conto che effettivamente ci stavamo dirigendo verso un centro commerciale al sabato pomeriggio. che è una cosa che io normalmente nella mia vita non la farei mai. stavo per scrivere una di quelle iperboli per sottolineare che io non ci andrei mai e poi mai in un centro commerciale il sabato pomeriggio a cercare delle scarpe, nemmeno sotto tortura nemmeno se torturassero dei miei parenti, ma poi ho pensato che non ce n’era il bisogno e infatti vi basti sapere che io, in un centro commerciale al sabato pomeriggio, mai.
e sempre mentre ero in macchina ho pensato che in fondo non me ne fregava poi più di tanto di ritrovarmi da lì a poco in un centro commerciale al sabato pomeriggio. intanto perchè era già tardino non c’era il rischio di passarci il pomeriggio intero, e poi perchè c’è un fatto da non sottovalutare, che io con la signorina quando faccio delle cose, ci ho proprio fatto caso, mi diverto sempre moltissimo.
siamo arrivati, siamo entrati. e questo negozio molto grande che io adesso non son più sicuro di come si chiama, manifestazione tessile una cosa così, ho dovuto prender atto immediatamente del fatto che è un negozio che vende cose solo per le donne, per i maschi non c’è niente. poi, ho visto anche appena sono entrato, c’erano molte donne alla ricerca del capo d’abbigliamento, dell’accessorio, della borsa, della scarpa perfetta. poi ancora, ho visto che c’erano parecchi uomini accompagnanti le donne di cui sopra.
io lo so che sto trattando un tema trito e ritrito, quello dei maschi al centro commerciale con le morose. ma non essendoci mai stato io prima, era la prima volta che li vedevo. è un po’ come aver visto un sacco di documentari sugli animali preistorici, poi non è mica la stessa cosa quando ti ritrovi un bel giorno di fronte a un triceratopo vivo.
e insomma, poveretti, questi uomini, si annoiavano. c’erano quelli che gironzolavano da soli ciondolanti in attesa della fine, quelli seduti su delle seggiole credo posizionate appositamente negli angoli che fingevano di interessarsi alle scelte della loro signora, quelli fermi in piedi con lo sguardo perso nel vuoto come dei palloncini legati a una staccionata, quelli seduti su un divanetto appartato in zona macchinetta del caffè con quotidiano o ipad.
una cosa straziante, a guardarli. io, sarà che ero alla prima esperienza, stavo bene. secondo me, ho pensato, magari eran partiti come me anche quegli altri la prima volta che son capitati in un centro commerciale al sabato pomeriggio, stavano bene. poi, col passare del tempo son diventati così, girovaganti, seduti, fiaccati dalla vita e dallo shopping.
siamo andati a veder le scarpe, con la signorina. l’ho aiutata a scegliere. che sull’abbigliamento mi sono accorto in questi mesi che ogni tanto abbiam gusti simili, ogni tanto invece siamo molto divergenti. abbiam questo modo colorito di affrontare la moda fatto di mmmh no dai con queste scarpe sembri una battona e uuuuh prova queste prova queste prova queste guarda che belle ce le aveva uguali una in un film porno che ho visto tempo fa. e insomma, si stava proprio bene abbiam riso molto. poi finito con le scarpe ha detto bene prendo queste e l’ho portata nel reparto cappotti che ne avevo visto uno verde secondo me le stava bene.
gira di qua, gira di là, intanto non potevo smettere di guardare questi altri uomini che aspettavano la fine un po’ mi facevan ridere, un po’ pensavo chissà se mi capiterà di diventare uno di loro. e ad un certo punto è partita la voce dell’interfono diceva signore e signori vi informiamo che il negozio, che adesso non mi ricordo più come si chiama, infiltrazione tessile una cosa così, chiuderà tra quindici minuti.
e allora mi son subito guardato intorno e li ho visti. gli uomini. ho sentito il loro comune sospiro di sollievo. c’era chi si alzava dalla seggiola nell’angolo, chi tirava fuori dei gran sorrisi, chi andava verso la signora dicendo eh sì stanno proprio per chiudere amoremio, c’era uno di quelli che gironzolavano che ha smesso di gironzolare e si è messo a ballonzolare felice.
è stata una cosa bellissima. come nei cartoni animati quando arriva la primavera nel bosco incantato e fanno vedere i germogli che germogliano, i fiori che fioriscono, le piante che verdeggiano, era tutto un rifiorire di maschi sparsi qua e la per il negozio.
la cosa interessante era anche che era chiaro che le signore e signorine, nel corso di tutto questo tempo, non avevan fatto caso a nulla, non si erano mica accorte che i loro maschi eran stati tutto il tempo in uno stato di torpore quiescente e che poi si eran risvegliati in quella maniera che a vederli erano anche belli.
voglio dire, la cosa che mi ha lasciato un po’ così era proprio quella, che ci siano questi automatismi di coppia per cui le persone vanno a fare delle cose insieme anche se non ne hanno nessuna voglia. e mentre uno dei due è lì che pensa al suicidio, l’altra si fa completamente i cazzi suoi senza badare al fatto che l’altro sta pensando di suicidarsi. questo, dico, nel caso specifico di questo negozio che non mi ricordo come si chiama, istigazione tessile, una cosa così. poi immagino che succeda la stessa cosa ma tutta al contrario quando gli uomini portano le loro signore alla partita del pallone o altre brutture simili.
e poi, niente, siamo andati a cena in questo posto a eraclea ci siamo sfondati di pesce, è un posto che ve lo consiglio anche a voi, si spendono un sacco di soldi ma ne vale la pena.
il senso della vita.
sabato ero da solo senza la signorina che aveva le sue cose da fare, ho pulito casa poi sono andato a fare un giro in bici.
che tra una cosa e l’altra era un mese che non uscivo a pedalare, voi che siete miei lettori abituali sapete tutto sulle mie crisi dei quarantanni premature sulle mie bici sulle scemate mie varie non devo spiegarvi niente, quelli che invece son capitati qui per caso andate indietro a leggere se avete voglia se non avete voglia ve la faccio breve, è un annetto che mi son messo a pedalare faccio dei giri in bici.
e allora, visto che era un mese che non pedalavo, e col fatto che la vita è cattiva, nonostante sia un anno che ho smesso di fumare completamente, la vita ultimamente è stata un po’ cattiva, nelle ultime due settimane ho ceduto alle tentazioni ho fumato tre sigarette, devo dire che sabato fisicamente non ero proprio pronto preparato tonico in pieno allenamento.
ed erano dei mesi che pur avendo fatto fino ad ora dei giri anche molto lunghi molto impegnativi con dei dislivelli mica da ridere erano appunto dei mesi che dicevo alla signorina che prima o poi dovevo provare ad andare su in cansiglio partendo qua da vittorio. chi è di queste parti sa di cosa sto parlando, per gli altri basta sapere che è una strada in salita ma in salita di quelle cattive che in dieci chilometri va su di mille metri d’altitudione. che per uno bravo e allenato è fattibile, ma per me che sono un cialtrone trentaseienne grande bevitore di birra ex fumatore con qualche problemino di asma invece è una robetta non indifferente. insomma eran mesi che dicevo devo farlo ma mi era sempre mancato il coraggio. che quella salita lì è proprio tosta mi faceva paura.
sabato son partito in bici, ho fatto un rapido pensiero ho pensato bene è un mese che non mi muovo che bevo birre che ho rifumato delle sigarette dove posso andare a fare un giretto tranquillo oggi per rimettermi a posto? su in cansiglio partendo da vittorio. così crepo, e non se ne parla più.
e allora cosa dovevo fare, son partito in salita. sono arrivato su in cima, pensavo di non farcela, e invece sono andato su tutto d’un colpo non mi son dovuto fermare per riprendere fiato, evitare che mi scoppiasse il cuore, pensavo che dopo un mese fermo non ce l’avrei fatta, e invece sono arrivato in cima son stato bravo, son soddisfazioni.
solo che mentre andavo su, per non cedere alla tentazione di fermarmi, o addirittura di girar la bici e tornare indietro, che era dura davvero, tenevo impegnata la testa con riflessioni molto profonde. che sta arrivando l’autunno, lungo la strada ci son parecchi alberi di castagne, ad andare su in cansiglio, non le castagne normali, le castagne matte. lo sapete tutti, quelle grosse, non si è mai capito se si possono mangiare oppure no, nessuno ci ha mai provato, beh insomma pedalavo guardavo in basso per non guardare avanti, tutti quelli che vanno in montagna, a piedi, in bici, quel che è, la prima cosa che gli dicono è quando sei stanco non guardare avanti, non guardare la salita. cammina, pedala, fai quel che devi fare e guarda per terra. se no il cervello vede la salita e ti fa mollare, ti spaventa ti convince che non ce la fai e molli di sicuro.
e infatti io ad un certo punto pedalavo, guardavo per terra, vedevo le castagne matte che eran cadute in strada, le macchine che eran passate le avevano schiacciate. e c’erano tante di queste castagne matte sfrappolate per terra. e siccome aveva piovuto c’era bagnato, c’era anche pieno di slacai.
in italiano si chiamano limacce, son le lumache senza il guscio, qui in veneto le chiamano slacai, che evidentemente questi slacai a differenza di noi uomini che le castagne matte non le calcoliamo neanche nel nostro piano alimentare, loro le castagne matte invece le tengono in grande considerazione, era pieno di slacai che correvano sull’asfalto a mangiarsi queste castagne matte schiacciate. solo, bisogna dire, guardando per terra, un grandissimo numero di questi slacai giaceva a sua volta sfrappolato sempre dagli pneumatici delle macchine.
tutto questo pedalare guardando questo sfrappolamento generale di castagne e slacai sull’asfalto, tutta questa distruzione e morte, mi ha portato poi ieri, che era domenica, a interrogarmi in presenza della signorina davanti a una pizza su quale sia il senso della vita.
eran delle riflessioni che non facevo dai tempi delle superiori, chiedermi che senso abbia stare al mondo, ieri ho passato un paio d’orette a riflettere su cosa ci stiamo a fare qui.
un’altra cosa che col senso della vita non c’entra, ma c’entra col giro in bici, è uscito un disco nuovo dei black stone cherry, che sono un gruppo niente male a me piacciono molto ogni volta che fanno un album capitano a fagiolo in un periodo della mia vita un po’ così, anche quando era uscito tre anni fa il loro penultimo disco hanno in qualche modo contribuito ad evitare che la mia testa se ne andasse definitivamente allo sfacelo. adesso in questi giorni è uscito il loro disco nuovo e mentre andavo su per la salita pensando agli slacai sfrappolati mi girava in testa il ritornello di questa canzone loro nuova del disco appena uscito e andando su per la strada pedalando mi son ritrovato anche a cantarlo a voce molto alta questo ritornello. sapete quando vi entra in testa una canzone e non vi molla più continuate a cantarvela senza riuscire a mandarla via. e devo dire che anche questa volta il disco dei black stone cherry, pur sembrandomi così ai primi ascolti meno bello rispetto ai precedenti, avrà un ruolo nell’evitarmi un altro sfacelo mentale. la canzone di cui sto parlando ve la metto qui. che se non l’avete mai sentita potrebbe piacere anche a voi, se invece ve l’ho fatta ascoltare ieri in macchina ma magari eravate distratti da altre cose l’avete sentita un po’ male e non vi è piaciuta molto, ora potete darle una seconda possibilità, chi lo sa può essere che a riascoltarla con calma ora vi possa piacere un po’ di più. e se poi invece non vi piace proprio per niente, pazienza.
poi dicono l’impotenza.
non ho mai tempo per scrivere lo so mi dispiace, i lettori affezionati che venivan qui costantemente a veder cosa scrivevo, mi sa che li ho un po’ delusi, fa niente.
è che lo studio love mi sta impegnando parecchio la testa, poi ci sono delle nuove mirabolanti avventure io non so come andranno le cose, sta di fatto che la testa ce l’ho tutta concentrata qui dentro, scrivere sul blog ultimamente faccio fatica.
comunque.
c’è una cosa, volevo scriverla già settimana scorsa, poi non ho avuto il tempo, la scrivo adesso, settimana scorsa mi son fermato a dormire a pordenone dai genitori della signorina, la mattina che ci siam svegliati la signorina aveva da fare un lavoro in fiera a pordenone io dovevo tornare invece in studio le ho detto dai che ti do un passaggio fino in fiera, abbiam preso su la mia macchinina, siamo andati.
solo poi dopo andare in fiera tutto un traffico, le macchine ferme, si deve passare anche davanti la stazione dei treni per andare in fiera eravamo lì in macchina fermi in coda vicino la stazione dei treni ad un certo punto da un suv fermo davanti a noi dal lato passeggero è scesa una ragazza è partita a piedi. dopo due secondi, un’audi in coda a fianco alla mia, un’altra ragazza dal lato passeggero è scesa, è partita a piedi. dopo un attimo anche da una mercedes davanti, stessa cosa, un’altra ragazza partita. andavano in stazione, che magari perdevano il treno, ferme in coda non arrivavano più, son partite a piedi, mi è venuta su una tristezza, per quei poveri uomini piantati là in mezzo al traffico sui loro macchinoni, mi sono immedesimato devono aver fatto tutti e tre un pensiero del tipo guarda qua con tutto quel che ho speso per comprare il macchinone non riesco neanche a portar la mia donna fino in stazione non servo a niente qui da solo in mezzo al traffico che vita infame. che io mi sono immedesimato, secondo me dentro i loro macchinoni stavano facendo questo pensiero tutti e tre, poveracci, mi dispiaceva. e ho anche detto alla signorina guarda lì, poveretti, tutti i soldi che han speso per il macchinone, non riescono neanche a portar la loro donna fino in stazione chissà come si sentono inutili. eh. poi si è smollata la coda siam ripartiti siamo andati avanti un po’, la signorina mi diceva che ore sono? siamo in ritardo? e io no tranquilla che ce la facciamo. e invece poco più avanti c’era un vigile avevan deviato la strada non si poteva più andar via dritti verso la fiera deviavano il traffico, e a far quella deviazione si doveva poi fare un giro più lungo per arrivare in fiera, con la signorina ci siam guardati, mi ha detto eh fermati qua che scendo, vado giù a piedi, se non non arrivo più. mi ha dato un bacio è scesa, è partita a piedi.
game over.
allora niente, è successo che dei mesi fa mi son lasciato con una morosa molto importante, c’è stato tanto dolore, degli strascichi, la vita certe volte è cattiva.
e in questi mesi non è che son stato sempre a casa a guardare la televisione. ogni tanto son stato in giro a fare dei disastri. e a far dei disastri ci son state delle volte in cui ho portato occasionalmente a casa delle altre signorine.
di mio, nella vita, ho da sempre questa sensazione di dover rivivere ciclicamente le stesse cose, di dover ogni volta ripartire daccapo cercare di non fare di nuovo gli stessi sbagli per riuscire a passare al livello successivo. avevo scritto una roba del genere tanto tempo fa qui. che mi sembra di vivere in un videogioco e non si arriva mai alla fine.
non è una sensazione che mi piace. in genere faccio il possibile per convincermi invece del contrario. che sia sempre tutto nuovo, che non mi tocchi dover ripetere sempre le stesse cose.
solo che poi mi remano contro.
e infatti dicevo, queste signorine che occasionalmente sono entrate in casa mia han tutte detto questa frase, con piccole varianti sul tema, ma sempre la stessa.
ah, ma guarda che casa pulita, guadagni punti!
oppure
ma sai anche cucinare? che bravo, guadagni punti!
oppure
e questa? è la tua moto? che bella, stai proprio guadagnando punti.
ecco, volevo dire, e l’ho detto anche alle signorine ogni volta che se ne uscivano con queste frasi, guarda che vorrei semplicemente scopare, non giocare a tetris e tirar su dei punti.
somewhere, sofia coppola, 2010
dove vai?
devo fare pipì torno subito.
metto in pausa?
no, tranquilla. dubito che atterrino i marziani proprio adesso. raccontami quel che succede mentre son di là che piscio.
allora, è su un materassino in piscina.
e cosa fa?
niente.
galleggia.
galleggia.
galleggia.
galleggia lentamente fuori campo.
ora è uscito fuori campo.
ma dai. e poi?
adesso sta scolando degli spaghetti.
sembrano scotti.
sì sì, son proprio scotti.
ora li mangia.
oh ma che film di merda.
eh.
manuale di sopravvivenza nei boschi.
prima o poi vi capiterà di andare a funghi con il babbo della signorina.
voi di funghi non ne saprete una mazza, lui invece ne saprà una più del demonio.
ad un certo punto troverete dei prataioli, lui comincerà a dirvi quanto sono buoni e poi vi spiegherà esiste anche un’altra varietà di prataioli ancora più buona, li riconosci perchè hanno le lamelle rosa e odorano di marijuana.
se siete ragazzi svegli e siete capaci di riconoscere al volo una domanda a trabocchetto risponderete marijuana? è un odore che non conosco.
cercate di non mettervi a ridere, nel dirlo.
autolesionismo.
ero in macchina prima stavo andando ad arcinema. che arcinema per chi non sa che roba sia fa niente. per chi lo sa, quest’anno bisogna ammettere che è una roba fuori dal comune.
allora stavo andando ad arcinema avevo la radio accesa radiodue ad un certo punto han fatto sentire un pezzo di jovanotti, anche se ormai è da tempo che non si fa chiamare più jovanotti, lorenzo cherubini. che fino a poche settimane fa alla radio facevano sentire il suo ultimo singolo che si chiama tutto l’amore che ho, una roba fatta con la pianolina bontempi sembra un pezzo degli eiffel sixtyfive, per chi se li ricorda, per chi non se li ricorda va bene lo stesso non fa niente non è importante. allora dicevo, tutto l’amore che ho era un brano anche un po’ imbarazzante di lorenzo cherubini jovanotti era il suo ultimo singolo, ha vinto il disco di platino. invece adesso il suo ultimo singolo che passa per radio non è più quello è un altro il titolo non lo so, andiamo a cercarlo insieme su google l’ultimo singolo si chiama le tasche piene di sassi. stavo ascoltando questa canzone di lorenzo cherubini jovanotti io non voglio adesso dire se lorenzo cherubini mi piace se non mi piace se trovo che i suoi pezzi siano belli o se trovo invece che nei suoi testi dica delle enormi banalità ora questi discorsi non c’entrano. c’entra piuttosto che in questo suo ultimo singolo lorenzo cherubini jovanotti canta ad un certo punto un ritornello che dice, e cito testualmente, sono solo stasera senza di te.
ora, ci avrete fatto caso, lorenzo cherubini jovanotti, io non voglio stare qui a dire se per me è intonato o se è stonato, ora questo non c’entra, c’entra piuttosto che lorenzo cherubini jovanotti un difetto oggettivo ce l’ha sempre avuto è che lui le esse e le zeta non riesce a pronunciarle. ha proprio un difetto di pronuncia evidente le esse e le zeta gli partono da tutte le parti fa di quei casini.
ora io sono uno di quelli che quando ascolta della musica gli piace farsi coinvolgere. e siccome stavo andando ad arcinema ci stavo andando da solo che la signorina non c’era mi mancava anche molto, mi avrebbe fatto un certo effetto sentirmi dire in una canzone alla radio che sono solo stasera senza di te, mi sarebbe partita una malinconia anche bella. e invece, quando è partito il ritornello dell’ultimo singolo della canzone di lorenzo cherubini jovanotti, che era la prima volta che lo sentivo poco fa mentre andavo in macchina ad arcinema, gli partivano le esse e le zeta da tutte le parti, c’è mancato un pelo che mi schiantavo sulla rotonda dell’ospedale da quanto ridevo mi lacrimavano gli occhi non vedevo più niente.
per fortuna, non mi son schiantato sulla rotonda dell’ospedale. che su quella rotonda mi ci son già schiantato in passato, ho già dato.
sommazione temporale sinaptica.
che quando scrivo nei titoli dei post robe che hanno a che fare col sesso, tipo porn for dummies, record di visite al mio blog. tutti di corsa a leggere. se scrivo nel titolo sommazione temporale sinaptica, ora voglio vedere in quanti venite a leggere le fesserie che scrivo.
comunque.
mi succede che a forza di correre in giro di lavorare sempre di dormire poco di mangiare quando capita mi si è incasinata la percezione temporale. venerdì stavo litigando con ginevra, finiamo di litigare le dico va bene dai mi dispiace scusami, ci vediamo domani.
perchè cosa succede domani?
ti laurei. ah no, domani è sabato, tu ti laurei martedì, ci vediam martedì.
lunedì chiamo un cliente gli dico guarda che mercoledì son dalle tue parti posso passare a trovarti? certo vieni pure. ieri era martedì, l’ho richiamato, scusa, quando ti ho detto che passavo? mi hai detto che passi domani, mercoledì. ah, gli ho detto io, mi era venuto il dubbio che ti avevo detto che passavo oggi che è martedì.
martedì mi chiama una cliente, dovevam fare un lavoro giovedì, non si riesce, lo rimandiamo a mercoledì della settimana dopo. va bene, nessun problema, buon finesettimana. e ho messo giù. la signorina era lì davanti a me mi guarda, ma cosa dici alla gente buon fine settimana che siamo solo a martedì?
poi con la signorina dovevam prenotare in un posto per andarci venerdì sera, bisognava prenotare con almeno due giorni di anticipo. le ho detto sarà il caso che oggi pomeriggio chiamiamo per confermare.
no, possiam confermare anche domani c’è tempo.
ma cosa dici, le ho detto, due giorni di anticipo ci vogliono, per venerdì, oggi è mercoledì.
no scemo, guarda che mercoledì è domani.
ah, già.
lo so che a leggere sta cosa non ci capite niente. ecco, nella mia testa, ultimamente, non si capisce niente neanche lì.
archivio mentale.
ogni fotografo che si rispetti ha in testa un bagaglio di immagini da cui attinge per fare le sue inquadrature, le sue luci.
che a forza di documentarsi, di veder le foto che fanno gli altri, il fotografo si stampa tutto nella testa e ogni volta che gli serve un’ispirazione va a pescare lì dentro.
e non è plagiare. ma una naturale e necessaria forma di reinterpretazione che serve a creare cose nuove.
ce l’ho anche io un bagaglio di immagini mentale, ma è molto piccolo. perchè sono pigro non ho mai tempo e voglia di andare a vedere cosa fanno gli altri fotografi e da sempre maschero questa pigrizia dietro la scusa che non mi va di copiare nessuno, che andare a vedere le idee e le luci degli altri mi inquinerebbe le mie idee la mia luce.
me la cavo solo perchè son fortunato che ho ancora voglia e passione e le idee le luci mi vengono fuori anche senza andare a documentarmi approfonditamente sui lavori dei miei colleghi.
il più delle volte vado a istinto. per dire, da qualche anno la parte più grossa del mio lavoro è far fotografie di arredamento, ultimamente meno perchè sto prendendo di nuovo altre strade, ma adesso questo non c’entra. e a fotografare arredamento per degli anni mi son sempre rifiutato di imparare a lavorare come lavora un fotografo di arredamento. questo discorso lo mollo qui perchè mi sono appena reso conto che se continuo a spiegare che differenza c’è tra fotografare un comodino con la testa di uno che fa il fotografo di comodini e invece fotografarlo con la testa di uno che fa finta di non aver mai visto un comodino in vita sua non ne vengo più fuori poi diventa una roba noiosa lascio stare tanto si è capito quel che intendo.
allora, dicevo, il bagaglio mentale di immagini da cui attingere e l’istinto del momento e fin qui ci siamo. poi ci son delle volte che per fare una fotografia il mio bagaglio di immagini è piccolo e non so dove andare a pescare e delle volte che l’istinto in quel momento lì per dei motivi suoi insondabili viene a mancare, mi tocca aggrapparmi a dei pensieri. che ne ho degli scatoloni pieni dentro la testa, catalogati, li tiro fuori per fare le fotografie. perchè quando le foto devono esprimere un sentimento l’unica maniera che ho per farle decentemente è attingere dalle mie emozioni. per dire, quelle volte che mi capita di dover fotografare una ragazza e devo fare una fotografia che trasmetta un po’ di carica erotica, mentre son lì che cerco la luce e l’inquadratura giusta smetto di pensare alla ragazza che devo fotografare e mi metto a pensare che sto facendo del sesso con la donna che amo. se devo fotografare un ragazzo e farlo sembrare affascinante, mi metto a pensare a quella volta che lavoravo come tecnico del suono all’arcigay di bologna e c’era uno che mi piaceva tanto mi ero quasi innamorato. se la foto poi deve esprimere rabbia, rivivo mentalmente l’incazzatura più grande della mia vita che non vi serve sapere qual è, e via così.
ne ho tanti di pensieri che uso per far le foto. li tiro fuori, smetto immediatamente di pensare a quel che ho davanti mi concentro sul pensiero che ho in testa e la foto viene fuori da sola.
da un paio di mesi ho inserito nell’archivo un pensiero nuovo molto bello ora ve lo racconto. ero a pordenone avevo accompagnato la signorina eravamo un po’ in anticipo ci siam bevuti un caffè in un bar e poi abbiam fatto due passi eravamo in questo caseggiato che c’è tra il centro di pordenone e la stazione dei treni ad un certo punto capitiamo davanti a una vetrina di una fumetteria chiusa abbandonata. ma abbandonata da anni. che quando l’han chiusa hanno messo dei fogli di carta da pacchi a coprire le vetrine dall’interno, col tempo son caduti giù, nelle vetrine ci son tutti i libri a fumetti le videocassette scoloriti dal sole e dal tempo, tutta una cosa monocromatica irreale, tra le due vetrine c’è la porta d’ingresso si vede dentro c’è il bancone della cassa, scaffali pieni di roba fumettistica tutto lasciato lì. mi ha preso una sensazione strana, che a passar davanti a queste vetrine è davvero una cosa impressionante sembra uno di quei film dove il mondo si è fermato a causa di un’epidemia, un’invasione di zombie, quelle cose lì e dopo degli anni le città sono deserte consumate dall’abbandono apocalittico. allora le ho chiesto, alla signorina, e a questo negozio cosa è successo?
mah, mi ha detto, era una fumetteria il titolare un giorno si è impiccato è rimasto tutto così.
non sapeva molto altro. un paio di giorni dopo ero in studio stavo parlando con michele che è di pordenone ha una discreta memoria storica gli ho chiesto della rivisteria, che si chiama rivisteria questo negozio abbandonato c’è l’insegna fuori. e mi ha raccontato michele che era di un signore che aveva un’edicola in centro e che poi un giorno aveva aperto anche questo negozio specializzato in manga giapponesi. e questo signore era di un’antipatia, di una scortesia rara. di quelli che quando entri nel suo negozio per comprare una cosa ti trattano come un pezzente, che ti fanno un piacere a badarti ad ascoltare le tue richieste, anche se hai da spendere dei bei soldi, che gli appassionati di fumetti io li ho visti li conosco escono dalle fumetterie con delle sporte piene di roba sacrificano buona parte dei loro proventi in questa loro passione. e allora niente, era un uomo molto scorbutico. poi un bel giorno, e parliamo di dieci anni fa, se vogliamo fidarci della memoria storica di michele, questo signore che a quanto pare era anche solo al mondo è andato in fallimento, ha preso è andato fino all’orrido della molassa si è tolto le scarpe le ha lasciate sul bordo della strada e si è buttato. che l’orrido della molassa sono andato a cercarmelo sulle fotografie satellitari di google, è un posto bellissimo appena viene bel tempo riaccendo la moto vado a farmici un giro non vedo l’ora che torni il caldo.
e il negozio come mai è rimasto lì abbandonato?
dice michele che con la storia del fallimento non son mai riusciti a mettersi d’accordo su come venderlo ci son state tutte delle beghe burocratiche non han più toccato niente.
e le scarpe? perchè ha mollato lì le scarpe?
dice michele che è una roba tipica ricorrente nei casi di suicidio quando le persone si buttano giù da grandi altezze, che lasciano lì le scarpe così poi qualcuno li trova schiantati anzichè rimanere dispersi per degli anni.
che non so se l’ha inventata al momento, questa cosa delle scarpe che i suicidi son soliti lasciarle lì per poi farsi ritrovare, non l’avevo mai sentita, comunque è una roba che sta in piedi è verosimile.
poi non mi bastava la memoria storica di michele sono andato a cercare su internet, della storia di questo negoziante non ho trovato nulla. l’unica roba ho trovato dei siti vecchi dove è segnalata e consigliata questa rivisteria specializzata in manga, con indirizzo e numero di telefono. che anche lì, è come se si fosse fermato il tempo a dieci anni fa, tutto congelato.
e insomma, tutta questa storia della fumetteria abbandonata in una maniera che sembra che il mondo si sia fermato per un’epidemia apocalittica, questo signore scorbutico che è fallito ed è andato a buttarsi nell’orrido della molassa lasciando lì le scarpe, questo pensiero l’ho messo nell’archivio insieme ai pensieri che uso per fare le foto, lo tengo lì prima o poi mi tornerà utile.
mi raccomando la maglia di lana.
la signorina che ogni tanto parte va a far le sue gite a un bel momento mi ha detto vado a berlino con delle mie amiche un po’ di giorni.
e io che per quel che mi riguarda sono uno scavezzacollo e del mondo che mi gira intorno mi interesso ben poco, per quel che riguarda gli affetti divento invece protettivo, stavam parlando le ho detto comunque insomma state attente andare in giro la sera da sole per berlino, vuoi che ti procuro uno spray al peperoncino da portarti dietro che non si sa mai?
e lei che è scavezzacollo anche peggio di me mi ha detto ma no che poi mi vien l’ansia, girare con lo spray al peperoncino.
beh, le ho detto, potresti allora girare con una confezione di wurstel nella borsetta. poi se succede che gironzolando vi capita la sfiga di incontrare un autoctono maleintenzionato tiri fuori prontamente i wurstel dalla borsetta, glieli agiti davanti alla faccia poi li lanci lontano. e appena l’autoctono maleintenzionato parte a correre dietro ai wurstel per acchiapparli, voi scappate via.
cito testualmente pt.III
ogni volta che vi vedo insieme, ma proprio tutte le volte eh, sono lì che vi guardo e penso: diobono speriam che lei non lo lasci.
la vita certe volte è cattiva.
l’altro ieri sera in macchina stavo parlando con la signorina stavamo tornando a casa, c’era la radio accesa radio rai tre.
e mentre stavamo parlando ho sentito il conduttore di radio rai tre che stava parlando, stava terminando il suo progamma, un saluto a tutti dal vostro pino sauro.
pino sauro è un nome e cognome bellissimo son due giorni che ci penso a questo nome bellissimo. invece adesso sono andato su google per essere sicuro ho cercato pino sauro radio rai tre, ho scoperto che avevo capito male, questo conduttore di radio rai tre si chiama pino saulo. con la elle. che peccato.
ma cos’è questa crisi paraparapappa.
avete presente quegli uomini che a un certo punto della loro vita vanno in pensione non ci sono abituati a stare a casa dal lavoro li riconosci subito alla coop che sono in giro con le mogli a far la spesa al venerdì si guardano intorno che non capiscono cosa sta succedendo?
oggi alla coop con la signorina per un attimo mi son sentito come quegli uomini lì che vanno in pensione non ci sono abituati.
chest pain waltz pt.V
quella cosa che ho raccontato una volta che mi hanno intervistato, ne parlavo qui in un post che si chiama un ricco omaggio un ricco tributo un ricco noscimento, ho raccontanto che l’amica psicologa di una mia amica aveva detto che secondo lei per affrontar la vita ho bisogno di alcuni strumenti, senza faccio fatica. la fotografia, la scrittura, la musica. la psicologa diceva anche che le donne le uso come degli strumenti. che lì sul momento quando è saltata fuori questa cosa un po’ mi ero spaventato. che intanto il verbo usare, riferito a una donna che mi piace, che fastidio. e poi anche strumento, addirittura. che parola brutta.
e invece aveva ragione, la psicologa.
che mi sono accorto, la signorina che in questi giorni non c’è e io di notte non dormo niente. la uso come uno strumento. quando c’è, intendo. si capisce quindi perchè non dormo.
in pratica, fa da apparato filtrante.
funziona così, quando dorme nella mia spalla, magari a lei sembra che sta solo dormendo, e invece fa una cosa bellissima neanche si accorge respira l’aria, la butta fuori e quell’aria la respiro poi io. prende il mondo, se lo tira dentro e poi lo fa uscire con il suo profumo addosso.
ecco. di notte, respirare l’aria senza che prima l’abbia filtrata lei, mi passa la voglia di dormire.
che poi chissà come la prende, che scrivo pubblicamente queste cose un po’ innamorate, conoscendola è facile che prima di salir sull’aereo per tornare qua mangia un panino con la cipolla.
non sarebbe neanche la prima volta.
trentadue.
son stato a bergamo, sabato e domenica. ogni tanto vado a trovare i miei genitori, mia sorella.
sabato sera non c’era niente da fare, ho preso sono andato al cinema. non da solo, con la signorina. abbiam guardato su internet, abbiam scelto un film giapponese si chiama departures. abbiam scelto mica tanto, ha scelto lei che sapeva più o meno che roba era, io non l’avevo ancora sentito nominare, mi son fidato. mentre ero lì ho letto un paio di recensioni al volo su internet, di questo film giapponese departures, i giudizi della critica oscillavano tra poesia pura e una palla micidiale.
allora, siamo andati, io al cinema ci vado anche spesso, solo, una cosa che mi dispiace un po’, i cinema come quando ero giovane non ci sono più, i cinema dove mi capita di andare son tutti dei multisala, che sarà anche vero che ci si sta con le gambe stese larghe, sulle poltrone comode i braccioli giganti il popcorn la cocacola, tutte quelle cose lì. però ci son delle cose, ti assegnano il posto, questa cosa che ti assegnano il posto mi manda via di testa. che se vado a vedere avatar alla proiezione del sabato sera il primo fine settimana che è uscito, posso anche capirlo il posto assegnato, ma quando vado a vedere un film che non se lo caga nessuno, in una sala da mille posti siam dentro in venti, tutti lì ubbidienti come pecore pigiati sulla stessa fila con il resto della sala vuota, non si può nemmeno limonare un pochino.
che va bene ho trentanni abbondanti, al cinema non è che mi venga più tanto da piantare chissà che limoni, però è vero che fino a quindici anni fa al cinema ci andavo anche per stare con le morose limonare far girare un po’ le mani, mi piaceva andare a cercare posti un po’ in disparte nelle file dietro, stare un po’ infrattato al buio senza gente intorno. nei multisala col posto assegnato si fa fatica a infrattarsi, far girare le mani oltre la barriera del bracciolo gigante.
allora, sabato sera ero a bergamo abbiam trovato su internet questo film giapponese departures da andare a vedere al cinema. a bergamo ci torno un po’ raramente, sabato ho scoperto che oltre ai multisala a bergamo ci sono dei dinosauri che cercano di sopravvivere all’estinzione, tre o quatto cinema ancora aperti di quando andavo al cinema quindici anni fa.
siamo andati, abbiam fatto il biglietto, ero lì col biglietto in mano, prima di entrare in sala mi è venuto il dubbio ho guardato, sul biglietto non c’era scritto il posto assegnato.
poi in sala c’erano le seggiole quelle piccole di legno col sedile ribaltabile l’imbottitura rossa. un po’ mi sono emozionato, ritrovare le vecchie seggiole di legno col sedile ribaltabile l’imbottitura rossa.
mica per altro, per chi non se ne fosse accorto è da un po’ che mi vengono i pensieri amarcord, che comincio ad avere una certa età, son qui incartato nelle bollette, sono lentamente entrato a far parte del sistema lavora guadagna compra, non ne vengo più fuori, ne ho un po’ piene le balle. sarà la crisi dei trent’anni, ogni tanto son qui che penso ah le robe eran meglio ai miei tempi. poi mi prendo per il culo per aver pensato che le robe eran meglio ai miei tempi, poi torno a pensare che però in effetti le robe eran meglio ai miei tempi.
son brutte le crisi dei trent’anni.
comunque, il film giapponese departures, avevan ragione le recensioni, poesia pura e andare a vederlo alla proiezione delle ventidue e trenta quando la notte prima hai dormito cinque ore scarse e poi hai guidato trecento chilometri e poi ti sei fatto pranzo e cena abbondanti, non riesci a restar sveglio fino alla fine.
solo, addormentarti sulle seggiole di legno col sedile ribaltabile l’imbottitura rossa, lo schienale basso, le ginocchia pigiate sul sedile davanti, le robe ai miei tempi saran state anche meglio, e va bene, ma le seggiole dei cinema dei miei tempi giuro non me lo ricordavo che eran così tanto scomode.
una roba tanto per scriverla.
non hai freddo?
no. tu non sei scomoda?
no.
amo, ma se ci facessimo ognuno i cazzi nostri?
ah che donna pt.II
parlavo con una certa signorina, ieri sera, prima di addormentarci, le dicevo che ero un po’ tribolato. che è un periodo un po’ così, nell’ultimo mese ho speso troppi soldi, cambiato la macchina fotografica, preso un computer portatile tra una settimana mando a rottamare la fiestina e arriva l’auto nuova, ieri son passato dal concessionario a lasciar giù l’assegno. insomma, son rimasto senza soldi, ora finchè non mi pagano la fattura dell’ultimo mese qui al lavoro ho il conto in banca vuoto il bancomat bloccato ho venti euro nel portafoglio mi servono per far benzina non posso neanche comprar le sigarette, finchè non mi arriva l’accredito dell’ultima fattura son poverissimo.
poi c’è un altro fatto, che le ultime due settimane in studio c’era da consegnare le foto per il salone del mobile di milano, abbiam lavorato come i matti, fatto tardissimo tutte le sere, ora i lavori li abbiam consegnati tutti, questa settimana non c’è più niente da fare siamo qui fermi, ieri pur di fare qualcosa mi son messo ad aggiustare i fari rotti, arrivare a sera un’insoddisfazione, che stare fermo tutto il giorno qui in studio io non son capace, mi annoio, torno a casa nervoso.
allora, le dicevo alla signorina ieri sera, ho la testa per aria, un gran giramento di maroni, son poverissimo e domani al lavoro non ho niente da fare tutto il giorno.
lei mi diceva eh vedrai che tra poco ti arriva l’accredito in banca non ti preoccupare, domani al lavoro magari visto che non hai niente da fare ti metti lì e scrivi qualcosa, è da un po’ che non scrivi.
è vero, è tanto che non scrivo. il fatto è che è un periodo che sto bene, io quando sto bene non mi viene da scrivere, mi passa l’ispirazione. lei mi diceva, ma non è vero che stai bene, hai appena detto che sei tribolato.
non le sfugge niente, alla signorina.
bip bip bip.
un po’ di tempo fa ho aperto questo blog, la prima cosa nuova che ho scritto si chiama inaugurazione, dentro quel post scrivevo diverse cose, una delle cose che avevo scritto dicevo delle mamme che quando sei piccolo ti tirano gli scappellotti e ti sgridano perchè resti delle mezz’ore col frigorifero aperto indeciso se tirar fuori il latte o il succhino di frutta.
Per via del fatto che esce tutto il freddo quando sei piccolo le mamme ti rompono i maroni se tieni aperto per troppo tempo il frigorifero. poi quando diventi grande vai a vivere per i fatti tuoi, non hai più la mamma che ti gira per casa, ti porti dietro i traumi. e infatti io ce l’ho questa cosa, che se apro il frigorifero, lo devo poi chiudere immediatamente, se ho degli ospiti che li vedo che mi aprono il frigo lo tengono aperto più del necessario per veder cosa c’è dentro, magari non gli dico niente per educazione, ma nella mia testa parte tutta un’ansia che io vedere i frigoriferi aperti ci divento matto.
allora, in questi giorni sono a casa di una certa signorina, dormo da lei, questa mattina mi son svegliato son sceso in cucina ho visto un bel vassoio di legno mi è venuto questo istinto spontaneo di preparar la colazione, portare la colazione a letto alla signorina farle una sorpresa. allora, niente, ho fatto il caffè, preso su due arance, il latte, le marmellate, messo due fette di pane nel tostapane, poi ci voleva anche del burro da mettere sul pane, per fare il pane burro e marmellata.
ho aperto il frigo, che la signorina ha un frigorifero moderno a due ante molto grosso spazioso, mi son messo a cercare il burro non lo trovavo. cerca di qua cerca di là il burro non saltava fuori già mi stava partendo il nervoso da frigorifero aperto. ho trovato una cosa che assomigliava a un panetto di burro incartato, guardo, c’eran scritte delle cose in sloveno, mi mancava la conferma che fosse effettivamente del burro, ero lì che ci pensavo, ad un certo punto il frigorifero si è messo a fare bip bip bip bip bip che si vede che stava uscendo tutto il freddo è partito l’allarme.
che male che ci son rimasto.
ah che donna e altre considerazioni interessanti.
t – amo, vado via un paio d’ore a padova dove mi han preso con l’autovelox così faccio le foto per il ricorso.
g – eh, vai piano.
stavo ascoltando gli iron maiden mentre andavo a far le foto all’autovelox padovano, questo fatto che the number of the beast inizia uguale a oh when the saints go marching in sarebbe da approfondire.
la pista ciclabile di vittorio veneto, io non c’ero mai stato.
che ho due cani che mi giran per casa, quando parlo con la gente magari salta fuori che ho due cani le ragazze mi dicono sempre ah te sei uno di quei maschi tipici che vanno in giro col cane in pista ciclabile per abbordare le donne. solo, io, la pista ciclabile non c’ero mai stato neanche da solo, figuriamoci con ozy e lemmy. anzi, a dire la verità non son mai andato nemmeno in giro con i cani per abbordare le ragazze. ozy ha un certo innegabile fascino, probabilmente tirerei su un sacco di donne, a girare con ozy. allora, dicevo, io in pista ciclabile non c’ero mai stato, sono andato ieri. mica da solo, sono andato con ozy e lemmy. c’era con me anche una signorina che frequento da un po’ di tempo. quindi che non mi si venga a dire che porto i cani a passeggio in pista ciclabile per abbordare le ragazze. anche se a dir la verità ad un certo punto è passata una a cavallo, molto carina. ozy le è corsa dietro per un pezzo, io rincorrevo ozy, poteva essere un’occasione buona per abbordare la cavallerizza, da un punto di vista puramente teorico.
tutto questo per dire che io in pista ciclabile non c’ero mai andato, ci sono andato ieri. la pista ciclabile di vittorio veneto, io non pensavo, è bellissima. non sono un esperto, ma mi sa che non ce ne sono in giro tante di piste ciclabili fatte così bene.
t – amo, son tornato.
g – hai fatto belle foto?