archivio mentale.

ogni fotografo che si rispetti ha in testa un bagaglio di immagini da cui attinge per fare le sue inquadrature, le sue luci.
che a forza di documentarsi, di veder le foto che fanno gli altri, il fotografo si stampa tutto nella testa e ogni volta che gli serve un’ispirazione va a pescare lì dentro.

e non è plagiare. ma una naturale e necessaria forma di reinterpretazione che serve a creare cose nuove.

ce l’ho anche io un bagaglio di immagini mentale, ma è molto piccolo. perchè sono pigro non ho mai tempo e voglia di andare a vedere cosa fanno gli altri fotografi e da sempre maschero questa pigrizia dietro la scusa che non mi va di copiare nessuno, che andare a vedere le idee e le luci degli altri mi inquinerebbe le mie idee la mia luce.

me la cavo solo perchè son fortunato che ho ancora voglia e passione e le idee le luci mi vengono fuori anche senza andare a documentarmi approfonditamente sui lavori dei miei colleghi.

il più delle volte vado a istinto. per dire, da qualche anno la parte più grossa del mio lavoro è far fotografie di arredamento, ultimamente meno perchè sto prendendo di nuovo altre strade, ma adesso questo non c’entra. e a fotografare arredamento per degli anni mi son sempre rifiutato di imparare a lavorare come lavora un fotografo di arredamento. questo discorso lo mollo qui perchè mi sono appena reso conto che se continuo a spiegare che differenza c’è tra fotografare un comodino con la testa di uno che fa il fotografo di comodini e invece fotografarlo con la testa di uno che fa finta di non aver mai visto un comodino in vita sua non ne vengo più fuori poi diventa una roba noiosa lascio stare tanto si è capito quel che intendo.

allora, dicevo, il bagaglio mentale di immagini da cui attingere e l’istinto del momento e fin qui ci siamo. poi ci son delle volte che per fare una fotografia il mio bagaglio di immagini è piccolo e non so dove andare a pescare e delle volte che l’istinto in quel momento lì per dei motivi suoi insondabili viene a mancare, mi tocca aggrapparmi a dei pensieri. che ne ho degli scatoloni pieni dentro la testa, catalogati, li tiro fuori per fare le fotografie. perchè quando le foto devono esprimere un sentimento l’unica maniera che ho per farle decentemente è attingere dalle mie emozioni. per dire, quelle volte che mi capita di dover fotografare una ragazza e devo fare una fotografia che trasmetta un po’ di carica erotica, mentre son lì che cerco la luce e l’inquadratura giusta smetto di pensare alla ragazza che devo fotografare e mi metto a pensare che sto facendo del sesso con la donna che amo. se devo fotografare un ragazzo e farlo sembrare affascinante, mi metto a pensare a quella volta che lavoravo come tecnico del suono all’arcigay di bologna e c’era uno che mi piaceva tanto mi ero quasi innamorato. se la foto poi deve esprimere rabbia, rivivo mentalmente l’incazzatura più grande della mia vita che non vi serve sapere qual è, e via così.
ne ho tanti di pensieri che uso per far le foto. li tiro fuori, smetto immediatamente di pensare a quel che ho davanti mi concentro sul pensiero che ho in testa e la foto viene fuori da sola.

da un paio di mesi ho inserito nell’archivo un pensiero nuovo molto bello ora ve lo racconto. ero a pordenone avevo accompagnato la signorina eravamo un po’ in anticipo ci siam bevuti un caffè in un bar e poi abbiam fatto due passi eravamo in questo caseggiato che c’è tra il centro di pordenone e la stazione dei treni ad un certo punto capitiamo davanti a una vetrina di una fumetteria chiusa abbandonata. ma abbandonata da anni. che quando l’han chiusa hanno messo dei fogli di carta da pacchi a coprire le vetrine dall’interno, col tempo son caduti giù, nelle vetrine ci son tutti i libri a fumetti le videocassette scoloriti dal sole e dal tempo, tutta una cosa monocromatica irreale, tra le due vetrine c’è la porta d’ingresso si vede dentro c’è il bancone della cassa, scaffali pieni di roba fumettistica tutto lasciato lì. mi ha preso una sensazione strana, che a passar davanti a queste vetrine è davvero una cosa impressionante sembra uno di quei film dove il mondo si è fermato a causa di un’epidemia, un’invasione di zombie, quelle cose lì e dopo degli anni le città sono deserte consumate dall’abbandono apocalittico. allora le ho chiesto, alla signorina, e a questo negozio cosa è successo?

mah, mi ha detto, era una fumetteria il titolare un giorno si è impiccato è rimasto tutto così.

non sapeva molto altro. un paio di giorni dopo ero in studio stavo parlando con michele che è di pordenone ha una discreta memoria storica gli ho chiesto della rivisteria, che si chiama rivisteria questo negozio abbandonato c’è l’insegna fuori. e mi ha raccontato michele che era di un signore che aveva un’edicola in centro e che poi un giorno aveva aperto anche questo negozio specializzato in manga giapponesi. e questo signore era di un’antipatia, di una scortesia rara. di quelli che quando entri nel suo negozio per comprare una cosa ti trattano come un pezzente, che ti fanno un piacere a badarti ad ascoltare le tue richieste, anche se hai da spendere dei bei soldi, che gli appassionati di fumetti io li ho visti li conosco escono dalle fumetterie con delle sporte piene di roba sacrificano buona parte dei loro proventi in questa loro passione. e allora niente, era un uomo molto scorbutico. poi un bel giorno, e parliamo di dieci anni fa, se vogliamo fidarci della memoria storica di michele, questo signore che a quanto pare era anche solo al mondo è andato in fallimento, ha preso è andato fino all’orrido della molassa si è tolto le scarpe le ha lasciate sul bordo della strada e si è buttato. che l’orrido della molassa sono andato a cercarmelo sulle fotografie satellitari di google, è un posto bellissimo appena viene bel tempo riaccendo la moto vado a farmici un giro non vedo l’ora che torni il caldo.

e il negozio come mai è rimasto lì abbandonato?
dice michele che con la storia del fallimento non son mai riusciti a mettersi d’accordo su come venderlo ci son state tutte delle beghe burocratiche non han più toccato niente.

e le scarpe? perchè ha mollato lì le scarpe?
dice michele che è una roba tipica ricorrente nei casi di suicidio quando le persone si buttano giù da grandi altezze, che lasciano lì le scarpe così poi qualcuno li trova schiantati anzichè rimanere dispersi per degli anni.
che non so se l’ha inventata al momento, questa cosa delle scarpe che i suicidi son soliti lasciarle lì per poi farsi ritrovare, non l’avevo mai sentita, comunque è una roba che sta in piedi è verosimile.

poi non mi bastava la memoria storica di michele sono andato a cercare su internet, della storia di questo negoziante non ho trovato nulla. l’unica roba ho trovato dei siti vecchi dove è segnalata e consigliata questa rivisteria specializzata in manga, con indirizzo e numero di telefono. che anche lì, è come se si fosse fermato il tempo a dieci anni fa, tutto congelato.

e insomma, tutta questa storia della fumetteria abbandonata in una maniera che sembra che il mondo si sia fermato per un’epidemia apocalittica, questo signore scorbutico che è fallito ed è andato a buttarsi nell’orrido della molassa lasciando lì le scarpe, questo pensiero l’ho messo nell’archivio insieme ai pensieri che uso per fare le foto, lo tengo lì prima o poi mi tornerà utile.

Una Risposta

  1. le toille

    io sapevo che si era buttato nel lago di barcis e delle scarpe, vedi quante versioni? comunque aveva due fumetterie. una, quella in piazza XX settembre ora è la “bottega del caffè”dopo circa 7 anni di abbandono. Me lo chiedo anch’io perchè sia rimasto tutto lì…

    p.s. i fumetti e le cassette scolorite dal solo lo erano anche quando era vivo (anche se meno).

    3 marzo 2011 alle 1:53 PM

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