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a spasso.

questa mattina ero un po’ da solo non avevo cose da fare, che domani finiscono le mie vacanze e ricomincia la vita incasinata, mi son tirato su ho fatto un po’ di esercizio. tipo degli addominali, delle flessioni, che io sono due mesi che ho un maldischiena che non mi lascia mai, credo sia una roba di muscoli, e allora è meglio se provo a fare un po’ di movimento. poi ho portato la ozzy a fare un giro nei vigneti dietro casa, che sta cominciando a invecchiare pure lei, non ha maldischiena, lei, ha credo l’artrite, le passeggiate lunghe poveretta non riesce più a farle. poi ho riportato la ozzy a casa e son partito sono andato al lago morto ho lasciato lì la macchina e ho iniziato a farmi il giro del lago. solo che quasi subito all’inizio del giro ho pensato che potevo prendere a sinistra sul bivio e andare su per una strada sterrata molto in salita che porta a un borgo più in alto che si chiama caloniche di sotto. che sarà anche di sotto, ma sta in alto, arrivarci a piedi a passo veloce salendo per quella strada non è una roba da niente. poi sono andato dritto sono arrivato su in cima al fadalto. da lì ho preso la strada asfaltata per tornare al lago.
solo, fare la strada asfaltata con le macchine e le moto che ti passano vicino, alla prima strada sterrata che ho visto mi sono infilato dentro per andar giù verso il lago.

tutta questa dovizia di particolari è per far capire dove stavo a chi legge e che è qua della zona. per gli altri, sono andato a farmi una passeggiata, sono andato su, e poi son tornato giù, tutto qui.

dicevo, appena mi sono infilato in questa strada sterrata che abbandonava la strada asfaltata, da una casa di un borgo che c’era lì appena iniziata questa strada sterrata è spuntato fuori un cane. un lupo vecchio col pelo marrone. mi è venuto dietro, si è fermato per farsi dare una grattata sul muso e poi è partito davanti a me. è andato avanti un pezzetto e si è fermato per aspettarmi. continuava a girarsi per veder se lo seguivo. e io gli sono andato dietro. e lui avanti a trotterellare un pezzetto, sempre girandosi a guardarmi e poi si fermava ad aspettarmi. e io dietro. che tra l’altro questa strada sterrata io l’avevo presa a caso, non l’avevo mai fatta prima. immaginavo che riportasse verso il lago, che il lago era appunto lì sotto non molto lontano, ma stavo proprio andando a caso.

e questo lupo marrone avanti a me che andava avanti un pezzetto e poi mi aspettava. ad un certo punto c’era un bivio, che da questa strada sterrata partiva sulla destra un altro sentiero più piccolo in discesa. mi ha aspettato al bivio e quando l’ho raggiunto è ripartito per questo sentiero. e io dietro. e a quel punto avevo anche iniziato a parlargli come parlo alla ozzy. quando si allontanava un po’ di più gli dicevo oh aspettami. e adesso da che parte? vai vai ci sono vai pure avanti. così.

e avremo camminato tre quarti d’ora alla fine siamo effettivamente arrivati al lago morto, sulla sponda a nord, dove c’è un altro borgo piccolo. lo abbiamo attraversato, da una casa è spuntato fuori un ragazzo mi ha chiesto è suo quel cane?

no. ma mi sta chiedendo di seguirlo da un pezzo, avremo fatto quattro chilometri ormai, son curioso di veder dove mi porta.

e poi in effetti siamo arrivati dall’altra parte del lago, quella più frequentata dalla gente, che c’è anche un chiosco. e io avevo questo lupo marrone che mi precedeva e girava intorno. al chiosco ho preso un panino e una birra, mi ero portato dietro anche un libro da leggere, un libro piccolo che sta in tasca, mi son seduto un po’ in disparte a leggere una trentina di pagine del libro e questo lupo si è sdraiato sui miei piedi. e siam stati lì un’altra mezzoretta insieme. io a leggere a bere una birra e mangiare mezzo panino fumare una sigaretta e guardare il lago, il lupo a dormirmi un po’ sui piedi a mangiare mezzo panino e a guardare il lago.

e dopo dovevo andare via gli ho detto ciao lupo, grazie per la passeggiata. lui mi ha guardato si è messo un po’ in parte sul prato, ha fatto la cacca e se ne è andato via.

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una cosa pulita.

sabato scorso ero a fare un lavoro lontano da casa son stato via tutto il giorno son tornato alle due del mattino della domenica.

e poi domenica mi son svegliato ho detto sai cosa facciamo oggi, visto che le scarpe da montagna me le son dimenticate a casa mia, oggi ce ne andiamo al mare. e visto che ci si era svegliati tardi, il mare qui vicino non è che mi piaccia moltissimo, e il mare in generale non è che sia proprio la mia meta preferita e se mare dev’essere in genere preferisco andare giù per la croazia, visto che ci si era svegliati tardi e io nello specifico mi ero svegliato con questa voglia di stare a ciondolare tutto il giorno e vedere il mare e sentir l’aria che si sente al mare, siam partiti siamo andati a caorle.

ad un certo punto stavamo facendo una passeggiata dentro al paese ci siam fermati a fare due chiacchiere seduti su una panchina e ho visto una cosa. sono arrivati un ragazzo e una ragazza giovani, vent’anni a testa magari anche meno, si sono incontrati lui era in bicicletta lei è arrivata a piedi. e in un attimo lei è montata a sedere sul manubrio della bici, rivolta verso di lui, coi piedi appoggiati sulla canna di questa bicicletta da donna, e lui, il ragazzo, è partito a pedalare con la ragazza seduta davanti che gli diceva dai andiamo vai da quella parte. e sono andati via.

e io lì che li guardavo son rimasto affascinato da questa cosa. che è durata un attimo e mi è sembrata una cosa semplice e rara, ma di una semplicità una rarità che devo spiegarlo, cosa mi ha affascinato.

che io son degli anni che vado sostenendo una tesi, una teoria, un pensiero mio. è che noi della nostra generazione non siam capaci, non siamo pronti a vivere quello che stiamo vivendo, nessuno ci ha spiegato cosa dobbiamo fare.

provo a spiegare, che è una tesi, una teoria, un pensiero mio che è lungo e articolato ed è anche facile da travisare. ma visto che oggi pomeriggio non ho niente da fare ed è da un po’ che non scrivo una roba un po’ lunga, ecco.

il pensiero mio è questo: che nella maggioranza dei casi noi tutti della nostra generazione, dico maschi e femmine, siam cresciuti con dei genitori che si son voluti più o meno bene per tutta la vita. con delle mamme che se non si son sposate vergini c’è mancato poco, con dei papà che si son fatti un mazzo a tarallo per tutta la vita per tirar su delle famiglie comprare delle case avere una stabilità. e insomma i nostri genitori nella maggior parte dei casi si son sposati che eran giovani. e in generale c’eran delle dinamiche più semplici. faccio un esempio. se mio papà e la mia mamma quando ancora non erano mio papà e mia mamma, e non erano neanche sposati, diciamo che erano morosi e basta, se in quel momento lì arrivava uno che voleva fare il cascamorto con la mia mamma, prima di riuscire anche solo a vederla da vicino, o a telefonarle, doveva superare tante di quelle difficoltà tecniche che ce le abbiamo avute anche noi di questa generazione. voi che avete la mia età avete mai provato quando eravate giovani a telefonare a una per chiederle di uscire? al telefono di casa rispondeva la sua mamma, non era mica facile.
e mettiamo caso che uno ci provava, a fare il cascamorto con la mia mamma, se non era bravo abbastanza in mezza giornata lo sapeva tutto il paese, ed eran tempi e posti in cui il mio papà, che ai tempi di questo esempio che sto facendo era un ventenne siciliano, mica stava lì a chiedersi se mia mamma poteva gestirsela da sola questa cosa, prendeva su la sua vespetta andava da questo qui che ci aveva provato con la mia non ancora mamma e più o meno gentilmente gli faceva capire che se si azzardava di nuovo era un uomo morto.

è un esempio, eh, che non so nemmeno se mio papà ce l’aveva, la vespetta. però, dico, la dinamica normale socialmente accettata era quella. poi ad un certo punto si sposavano facevan dei sacrifici avevano un lavoro stabile, prendevano delle decisioni insieme, compravano una casa facevano dei figli, il padre di famiglia decideva quando era ora di cambiare la macchina e stavano insieme per tutta la vita nonostante le difficoltà.

e c’era tutta un’altra serie di dinamiche. tipo che l’aperitivo, fino alla generazione prima di noi, era il padre di famiglia che tornando da lavoro si fermava a bere un bianco al bar (e questa l’ho presa dal mio amico alce).
la discoteca non era la discoteca, era la balera in estate che i morosi portavan le morose a ballare.
le feste erano i papà che accompagnavano le figlie alla festa e tornavano a riprenderle alle undici e mezza.

e ora attenzione, perchè è qua che rischiate di non capire un cazzo di quello che sto cercando di spiegare. io non voglio dire che queste dinamiche erano belle e perfette e che le vorrei uguali anche adesso. non sto dicendo questo. anzi, diciamo che su tante robe son delle dinamiche che non mi piacciono mica tanto.

dico solo che noi siam cresciuti, siam stati tirati su, secondo questi ideali. è lo scenario in cui più o meno tutti noi ci siamo formati. e vuoi o non vuoi sono queste le dinamiche che la nostra testa vede come normali. alle quali siamo stati abituati. lo chiamano imprinting, se vogliamo proprio usare una parola straniera.

e i nostri genitori come son venuti su? con gli stessi ideali, perchè i nostri nonni son venuti su anche loro con questi ideali qui e i bisnonni pure. cambiava il contesto sociale, ovvio. hanno avuto anche loro a che fare con problemi generazionali diversi, con l’arrivo del telefono, con la televisione, coi motorini, con le minigonne, i diritti al voto alle donne, la liberalizzazione del divorzio, con la droga con un sacco di rotture di maroni nuove per cui ogni generazione ha dovuto in qualche maniera adattarsi e fare dei cambiamenti. però diciamo che gli ideali, gli obiettivi da raggiungere, e i ruoli – ecco questo è importante, i ruoli – erano abbastanza chiari a tutti.

e ricordiamoci ancora che non sto dicendo che eran belli e perfetti. dico solo che quelli erano, che piacessero o no. e che son stati quelli per un mucchio di generazioni di persone che hanno avuto, nonostante i cambiamenti normali della società, un punto di riferimento. una normalità a cui potersi aggrappare, per saper come comportarsi nei momenti in cui serviva sapersi comportare.

ecco, chiedo: voi riuscite a immaginarvela vostra mamma che a trent’anni andava a farsi l’aperitivo con le amiche truccata e vestita da gara e che tornava a casa ubriaca alle quattro del mattino mentre il vostro papà passava le serate a giocare con la playstation a parlare di figa e a fumarsi le canne coi suoi amici? ve li immaginate vostra mamma e vostro papà che da giovani si facevano i selfie provocanti e avevano i rispettivi amici piacioni che gli mandavano i messaggetti su facebook per sondare il terreno? ve lo immaginate vostro papà che c’è un altro che ci prova con la mamma su wozzap e che se ne sta buono buono mentre la mamma risponde ai messaggetti che le arrivano a ora di cena?

no vero? a noi di questa generazione qui stanno succedendo delle cose che non siam preparati nè a farle, nè a subirle. ma mica perchè siamo stupidi, perchè semplicemente stiam facendo delle cose inventandocele di sana pianta. ma senza avere qualcuno che le abbia fatte prima di noi, neanche lontanamente simili, e che ci abbia spiegato come si fa.

ai nostri figli gli andrà meglio. già ai dodicenni di adesso gli va meglio.

faccio un altro esempio: io se a dodici anni volevo tirarmi una sega dovevo prima impazzire a far sparire dei postalmarket dal salotto. o in assenza del postalmarket consumarmi gli occhi sulla pubblicità della wonderbra. che son più o meno le difficoltà simili che avranno avuto mio papà mio nonno e mio bisnonno nel cercare di tirarsi una sega quando avevano dodici anni. poi per forza che per noi di queste ultime generazioni il sesso è una roba che occupa una percentuale altissima dei nostri pensieri.

dalla generazione successiva alla mia è cambiato tutto. fin da piccini hanno tutti un cellulare attaccato a internet dove c’è totale accesso alla pornografia in tutte le sue forme ed espressioni. ed è talmente facile accedervi che tutta la loro formazione sessuale adolescenziale non c’entrerà nulla neanche lontanamente con quella mia. nel senso che secondo me nemmeno gli interessa, il sesso. che curiosità puoi avere per una roba che è completamente accessibile? nessuna. ieri ero al bar seduto con altra gente a mangiare una granita dopo pranzo. dietro di me c’eran tre ragazzetti ventenni. sentivo i discorsi, han parlato per tre quarti d’ora di goku, di supersayan, di pokemon.

i nostri figli non saranno mica come noi, senza dei punti di riferimento. avranno noi che siam stati i primi a dover sopravvivere ai telefonini ai social network ai wozzap. e che, se saremo sopravvissuti, gli spiegheremo come si fa a sopravvivere. loro saranno più fortunati.

noi, invece, siamo nella merda.

ecco, questo è il pensiero che ho nella testa da qualche anno.
che quando domenica ho visto il ragazzo che pedalava con la ragazza seduta sul manubrio, mi sembrava una roba semplice, rara. pulita.

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chi beve birra campa cent’anni pt.II

è un sabato cominciato mica tanto bene, son qua in studio a preparare un set fotografico per lunedì, che avevo fatto delle stuccature, col caldo e con l’umido si è dilatato il legno, son saltate tutte le stuccature devo rifare tutto daccapo, sto aspettando che si asciughi lo stucco poi dovrò pitturare e tra poche ore devo andar fuori per un altro servizio fotografico, il set dovrò finirlo domani mi sa, ci son delle volte che faccio una vita non tanto facile.

e ieri sera, dopo una giornata di foto e video con un caldo che si sudava come le bestie sono andato a pordenone, che c’era un bar che festeggiava un anno di attività, c’erano degli amici miei sono andato. e appena sono arrivato in questo bar la gente fuori dal bar coi bicchieri in mano la musica da discoteca a un volume che non si riusciva a parlare io ero stanco morto, la prima cosa appena mi han visto arrivare gli amici mi han procurato una birra. e in questi bar del centro la birra te la fanno bere dentro i bicchieri da vino rosso, i balloon, si chiamano, i bicchieri da vino rosso. quelli con lo stelo, fatti a palloncino, si chiamano balloon. e va bene.

ma non va bene. che se son stanco, ho caldo, la birra se serve la bevo anche dentro una scarpa da donna, mica mi formalizzo. però insomma. è come se mi portassero una bella bisteccona con l’osso da un chilo e me la facessero mangiare con le posate di plastica, non mi piace.

ad un certo punto la birra che stavo bevendo dentro questo bicchiere da vino rosso, il balloon, è finita. e la gente fuori dal bar coi bicchieri in mano la musica da discoteca a un volume che non si riusciva a parlare io ero stanco morto, avevo voglia di un’altra birra sono entrato dentro a questo bar ho aspettato il mio turno al bancone, ho chiesto una birra alla barista.

però, scusa, ti chiedo, non è che per caso hai un bicchiere da birra fatto a forma di bicchiere da birra?

perchè?

eh, perchè. perchè magari a voi sembrerà elegante e raffinato servire la birra dentro il bicchiere da vino, ma a me sembra di essere scemo a bere la birra dentro un bicchiere da vino, non di essere elegante e raffinato.

sospira, pausa.

tu non sei di pordenone vero?

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mi raccomando vieni elegante.

son stato via lo scorso finesettimana dovevo presenziare a un evento, la signorina mi ha detto mettiti elegante.

e c’è questa cosa dell’eleganza che per gli uomini è facile, un paio di pantaloni una camicia una giacca e in qualche maniera si fa. poi ultimamente anche se per gli uomini sarebbe abbastanza facile vestirsi eleganti vedo in giro di quelle cose, risvoltini, caviglie di fuori, mocassini scamosciati verdi e arancioni, camicie trasparenti, capigliature brutte, secondo me sono confusi.

insomma ero via lo scorso finesettimana ero in spagna e in spagna a giugno ci sono trentacinque gradi abbondanti e siam partiti alle cinque del pomeriggio per andare a questo evento. gli uomini eravamo vestiti, a parte quelli confusi, eleganti chi col completo chi con lo spezzato, normali insomma. tutti indistintamente imbarazzati dal fatto che ancora prima di arrivare all’evento stavamo sudando e puzzando vistosamente.

le donne invece son partite vestite che secondo loro erano eleganti, e invece solo alcune erano eleganti, mentre la maggior parte eran combinate in una maniera che non si capiva se erano uscite fuori da un video degli abba o se avevano appena smontato dal turno di notte al lampione in pontebbana. comunque sia erano tutte mezze nude e stavano belle fresche nonostante i trentacinque gradi.

poi verso seretta è andato giù il sole, ha cominciato a fare fresco e cosa è successo, è successo che gli uomini si toglievano la giacca e la mettevano sulle spalle della loro compagna, che giustamente era lì mezza nuda, cominciava a fare fresco, era infreddolita. e il resto della serata andava avanti così, che c’erano degli uomini che avevan passato il pomeriggio a sudare perchè eran costretti a vestirsi eleganti col completo a giugno, e ora erano lì in maniche di camicia a farsi prendere il cagotto mentre le donne, che si erano tenute belle fresche tutto il pomeriggio mezze nude ora stavano lì avvolte al caldino in una giacca da uomo taglia cinquantadue.

e bisogna proprio ammetterlo, non esiste niente di più elegante di un uomo in camicia slim fit con la panza gonfia e una donna infagottata in una giacca più grande di lei.

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the sign of the cross.

oggi sono andato a montebelluna da un cliente, poi son tornato indietro son passato da casa ho lasciato giù la macchina che poverina non sta tanto bene ha iniziato a rompersi tutta insieme, i freni son finiti e ha ceduto il paraolio del volano che magari voi non sapete che roba sia il paraolio del volano, è un tondino di gomma che costa dieci euro, ma che per cambiarlo dovrò smontare mezza macchina, e già che ci sono cambiare la frizione, e magari trovare un cambio a sei marce, voi che andate in giro sereni con la vostra fiat punto e vi fate fare i tagliandi dal meccanico non potete immaginare quanti casini devono affrontare quelli che si appassionano alle macchine.

comunque, dopo questo giro dal cliente son passato da casa ho messo la macchina in garage e ho preso su la bici. che c’è il sole, i prossimi due giorni pioverà, avevo anche voglia di pedalare.

e scendendo con la bici lungo la strada che porta verso lo studio c’è un semaforo, c’è un incrocio e c’è pure un cimitero. stavo attraversando, una macchina che arrivava dall’altra parte e doveva girare mi ha quasi preso dentro c’è mancato un pelo me la son vista brutta. non è successo niente l’ho evitata non ci siam neanche toccati. solo che in quei momenti lì voi non so se vi è mai capitato, succede tutto in mezzo secondo, in quel mezzo secondo ho guardato dentro la macchina che mi stava prendendo dentro che ho pensato sarà il solito deficiente che guida e intanto risponde ai messaggetti sul cellulare.

e invece no, non era il solito deficiente che guida e risponde ai messaggetti sul cellulare, era una signora che mentre svoltava al semaforo, siccome proprio lì c’è un cimitero, con una mano teneva il volante e con l’altra si stava facendo il segno della croce.

e nel fare il segno della croce immersa nei suoi pensieri mistici stava per mandarci pure me, al cimitero.

ci son rimasto proprio male, che di questi tempi farmi tirare sotto dal deficiente che guida e intanto risponde ai messaggetti sul cellulare sarebbe fastidioso ma accettabile, ma farmi ammazzare da una che deve farsi il segno della croce ogni volta che passa davanti a un cimitero, ecco, crepare così non mi farebbe piacere per niente.

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il papà di una bimba di quasi tre anni.

settimana scorsa sono andato a ritirar la bici nuova, una ciclo cross. sarebbe una via di mezzo tra una bici da corsa e una mountain bike. solo che poi ho cambiato i freni e io che cerco di fare tutto da solo di solito mi smonto le macchine le bici i camperini ci sono però delle cose a volte stupide che dovrebbero essere basilari ma proprio non mi vengono.

tipo registrare i freni cantilever. non son capace, non c’è verso, quando faccio da solo va a finire che la bici o non frena o si mette a fischiare che sembra stiano arrivando i marziani.

non sapete cosa sono i freni cantilever, lo so. fa niente, non andate neanche a cercare su wikipedia che tanto per la roba che devo raccontare i freni cantilever sono ininfluenti.

e allora stamattina son partito di buon’ora da casa con questa bici che coi freni davanti fischiava, coi freni di dietro non frenava, sono andato dal meccanico delle biciclette a chiedergli se mi dava una registrata ai freni al volo. che a saperlo fare, è una roba da dieci minuti.

ero lì da lui in negozio stavamo chiacchierando questi dieci minuti mentre mi registrava i freni è spuntata da una porta sua figlia. che non ha neanche tre anni ancora non va all’asilo e ce l’ha lì un po’ la tiene la nonna un po’ la mamma un po’ gira per il negozio. che se arrivi e la trovi dell’umore giusto tu le dici buongiorno signorina mi scusi, starei cercando una bicicletta rossa per la mia morosa. e se lei ha l’umore giusto ti prende per mano e ti porta a vedere le biciclette da donna rosse e ti racconta per filo e per segno le qualità delle biciclette rosse.

e infatti anche oggi è saltata fuori questa bambina che non ha neanche tre anni e mentre stavo chiacchierando col suo papà che mi registrava i freni ero lì appoggiato sul bancone degli attrezzi mi guardavo intorno, questa bambina mi ha detto scusa ma cosa guardi?

mah, niente, stavo guardando un po’ gli attrezzi.

guarda che quelli sono gli attrezzi del mio papà non sono tuoi.

ah sì? e sai cosa faccio io? io gli attrezzi del tuo papà li tocco tutti quanti.

e con la punta del dito ho iniziato a toccare la roba che c’era sul bancone e dicevo boink boink boink boink ogni attrezzo che toccavo.

noooo non li puoi toccare!

ah sì? e io me ne frego e tocco anche te. e con la punta del dito le ho schiacciato il naso. ho detto boink.

e lei si è girata verso il suo papà che mi stava registrando i freni che era lì a un metro,

papi, questo signore mi ha toccata.

e mentre mi si gelava il sangue a sentir dire a una bambina il signore mi ha toccata, il suo papà si è messo a ridere mi ha detto pensa te, di sti tempi, che casino. che finché ce l’ho qui con me va benone, ma pensa quando mi tornerà a casa da scuola e mi dirà papi il signore mi ha toccata, e non avrò idea di cosa è successo, cosa dovrò fare?

ah non so. io credo che partirei col carro armato.

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ho risolto il problema dei vegani.

-e quindi, se ho capito bene, il motivo per cui non mangi alimenti di derivazione animale è essenzialmente etico.

-sì. e non solo non mangio alimenti di derivazione animale, ma neanche li uso per vestirmi. niente lana, niente pelle.

-il problema è il maltrattamento degli animali, giusto?

-sì certo. vengono uccisi e non va bene.

-beh dai, non sempre. per ricavare la lana mica uccidono le pecore, le tosano soltanto. e il miele, non mi pare che le api vengano uccise.

-sì, certo. ma comunque anche loro sono costrette a delle condizioni di vita non naturali e subiscono un trattamento brutto.

-ok, ci sono. però aspetta un attimo. non ti vesti di pelle e lana, ma qualcosa addosso te la dovrai pur mettere. ti capiterà di andare a comprare vestiti da eichenem o simili, vero?

-eh sì, per forza.

-e immagino tu sappia benissimo che quelle catene sfruttano manodopera asiatica, con persone costrette a condizioni lavorative inumane, sottopagate, e tutto perchè noi si possa comprare le magliette a quattro euro l’una.

-sì sì, ma tutto sommato chissenefrega. a me importa degli animali, non degli esseri umani.

-e allora, secondo me, volendo, i vegani un pochino di carne potrebbero anche mangiarla.

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una di quelle robe che non andrebbero scritte su un blog che si chiama sposilove.

ieri ero qui in studio a far delle foto c’era anche il cliente.

questo cliente è uno di quelli che ci tengono, quando fotografo i suoi prodotti è sempre presente.
è una cosa che fa piacere.

ed è un cliente di quelli che ce ne vorrebbero di più di clienti così. nel senso che è una persona molto a modo, molto distinto, un industriale d’altri tempi. sia nel modo di presentarsi che di comportarsi, umanamente e professionalmente.

non è perfetto, eh, che per i primi due anni che ho fotografato per lui ogni volta mi arrivava qua col preventivo di qualche altro fotografo che si proponeva a prezzi più bassi, ci è voluta della pazienza per convincerlo che non è che siccome ci sono in giro i fotografi disperati devo disperarmi pure io. e c’è stata una volta che ero vestito con dei jeans e una camicia e un maglione e mentre fotografavo chiacchieravamo del più e del meno e non so come è saltato fuori un discorso che si parlava dei giovani e lui mi ha detto beh ma anche lei, così dal vestire, lei è uno, come si dice, un punk, no? e anche adesso che son quattro anni che fotografo per lui quando deve dirmi qualcosa due volte su tre non si ricorda come mi chiamo, mi chiama signor coso.

però, devo dirlo, è una bella persona e davvero ce ne fossero di più di clienti così.

e ieri pomeriggio era qui stavo fotografando dei suoi prodotti nuovi e ad un certo punto ero inginocchiato per terra stavo facendo un’inquadratura dal basso e così, chiacchierando come si fa tanto per dir qualcosa ho detto eh, che la morosa ha ragione anche lei ogni tanto quando mi rompe le scatole a dirmi che farei bene a vestirmi un po’ meglio, al lavoro, ma son sempre a strofinarmi di qua e di là, arrivo a sera che son tutto zozzo, mica posso vestirmi elegante.

che poi, forse, era anche una maniera mia per far passare il messaggio al cliente che c’è un motivo se non lo accolgo in giacca e cravatta, che lui invece arriva sempre con la cravatta, per dire che insomma non è che vado in giro in studio coi jeans e la felpa col cappuccio perchè sono punk, ma perchè col lavoro che faccio, mettermi elegante, non ci riesco.

e lui ha detto beh è fortunato che ha solo una morosa che le rompe un po’ le scatole. perchè se invece aveva una moglie, allora vedeva che gigantesche rotture di coglioni.

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poi dice i tedeschi.

che nelle ultime settimane c’è stato questo scandalo della volkswagen che ha venduto delle automobili diesel agli stati uniti che avevano dentro le centraline, queste automobili, tutto un sistema che quando vanno in giro inquinano un po’ di più di quel che dovrebbero. poi però quando vanno a fare i controlli, la revisione, le centraline se ne accorgono e inquinano meno di quel che serve per rientrare nei regolamenti.

che io pensavo negli stati uniti quante auto diesel vuoi che abbiano venduto, la volkswagen, che il diesel negli stati uniti non sanno neanche che roba sia, hanno di quelle macchine con dei  motori cinquemila di cilindrata con almeno quattrocento cavalli tutti a benzina che vuoi o non vuoi inquinano come dei camion ma ora questo discorso non c’entra.

c’entra il fatto che l’altro giorno mi sono incontrato con la signorina è arrivata con la sua automobile di fabbricazione italiana, un’auto recente moderna, la riedizione di un’auto italiana che è stata protagonista della ripresa economica nazionale del secondo dopoguerra. e quando è arrivata le ho detto beh che odore strano che fa la tua macchina. puzza di bruciato.

eh sì ogni tanto lo fa.

sarà mica una roba normale, apri un po’ il cofano.

e dal cofano usciva tutto un fumo, un odore di bruciato. poi lì era sera era buio eravam per strada io da quando ho la banana ho imparato a mettere un po’ le mani sui motori, ma mica son meccanico. e niente, le ho detto, torniamo a casa pianino vediamo se ci arriviamo, che così a naso potrebbe essere la guarnizione di testa, domani ti lascio qui la banana e la tua la porto dal meccanico a veder cosa sta succedendo.

e poi il giorno dopo sono andato dal mio meccanico abbiam guardato, ha collegato il computer alla centralina dell’auto ha fatto una diagnostica si è capito cosa era successo.

è successo, mi ha spiegato, che quest’auto ha un filtro anti particolato, sarebbe il catalizzatore, ce l’hanno tutte le macchine moderne lo spiego per chi non lo sa. il catalizzatore è un filtro che sta prima della marmitta serve a trattenere tutte quelle polveri sottili che se vanno nell’aria poi ce le respiriamo fanno male.

e allora cosa fa questa auto italiana moderna all’avanguardia, quando la centralina si accorge che il filtro antiparticolato comincia ad intasarsi un pochino ci pensa lei a disintasarlo. se si può dire la parola disintasarlo ma almeno ci capiamo. e per disintasare il filtro automaticamente gli alza la temperatura interna e lo fa bruciare dentro e così tutte le polveri che aveva trattenuto per evitare che finissero nell’aria lei le brucia e le libera nell’aria.

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misunderstanding.

ho scritto alla commercialista settimana scorsa le ho detto oh, guarda che qui non ce la faccio.

Eh, mi ha risposto lei, lo so che la situazione non è facile. non è una
consolazione ma ricevo mail come la tua praticamente ogni giorno, la crisi ancora non passa.

no no, spetta non ci siam capiti, quale crisi, che qui è da quando son tornato dalle vacanze che non smetto un attimo di lavorare, continua a suonarmi il telefono non ho un minuto libero sto impazzendo. il problema non è mica la crisi. il problema son le tasse, che non ne vengo fuori.

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il prossimo paga per tutti.

ho fotografato un matrimonio, recentemente. ogni tanto mi capita.

sto facendo la postproduzione, che devo consegnar le foto, anche questa volta mi accorgo che una foto ogni tre che ho scattato c’è qualcuno con un cellulare in mano.

ora, io vi avviso, la prossima volta che esco a fotografare un matrimonio, giuro che lo faccio apposta di fotografarvi solo mentre avete un telefonino in mano.

così poi magari vi accorgete anche voi, in che mondo stiamo vivendo.

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oggetto: invio file fotografici e tentativo di spiegarle che il disonesto è lei.

Sig. Spruzzetto buongiorno.

Le sto inviando in questo momento le foto in alta risoluzione che precedentemente ho consegnato alla sua agenzia di comunicazione. A breve le arriveranno due email da Wetransfer contenenti i link per scaricare tutto il lavoro fotografico che per ragioni di peso è stato diviso in due invii diversi.

Sono stato questa mattina in banca a versare il suo assegno. Alla signorina in cassa ho chiesto di effettuare un controllo per verificare che l’assegno fosse coperto.

Nel chiederglielo ho provato una profonda vergogna. Nei suoi confronti.

Mi vergogno di trovarmi nella condizione di doverle ricordare che, nel momento in cui si compra qualcosa, è importante che il compratore, il cliente, abbia la copertura economica per poi pagarla, come è importante, nel momento in cui si accettano le condizioni poste dal venditore, o dal fornitore, lo chiami come preferisce, il compratore abbia poi la capacità di rispettare le condizioni accettate.

Mi vergogno perché mi sembra inammissibile che un fotografo trentasettenne debba mettersi a spiegare concetti così banali a un dirigente d’azienda ultracinquantenne.

Io per lei ho eseguito un lavoro. Mi avete cercato voi, mi avete chiesto un preventivo, lo avete accettato e io con tutta la passione che ho per il mio mestiere ho lavorato al meglio delle mie capacità e consegnato il lavoro nei tempi da voi richiesti.

Avete utilizzato le foto da me prodotte e avete stampato il vostro catalogo con soddisfazione.

Come da accordi da voi accettati ho inviato la mia fattura che non è poi stata pagata nei tempi previsti.

In qualità di responsabile ho provato a contattarla telefonicamente per due settimane e per due settimane si è fatto negare. Quando sono venuto di persona a chiederle spiegazioni ha cercato di mandarmi fuori dall’azienda prendendomi a spintoni e, cosa peggiore tra tutte, mi ha chiamato disonesto.

Vede, lei mi dà del disonesto, mi spintona, probabilmente è abituato male. È abituato ad avere a che fare con fornitori che non vengono pagati e che se la prendono in saccoccia o che al massimo mandano un decreto ingiuntivo e poi se la vedranno gli avvocati.

Questa volta le è andata male. Ha trovato me, la peggior persona che lei potesse provare a trattare come tratta normalmente i suoi fornitori. Ha trovato me che sono rimasto lì fino a quando non sono uscito con un assegno a saldo del debito che la sua azienda aveva nei miei confronti.

Lasci che le dica che da un certo punto di vista, però, le è andata bene. Sono uno di quelli che rimpiangono i tempi in cui se lei mi avesse dovuto dei soldi guadagnati onestamente, mi avesse preso a spintoni e mi avesse dato del disonesto, ecco io rimpiango i tempi in cui mi sarei sentito libero di farmi andare il sangue alla testa, di prenderla per un orecchio e farle fare il giro della zona industriale a pedate nel culo.

Sarebbe stato un gesto dalla duplice utilità. Sarebbe servito a me per tornare a casa a mente serena e, cosa più importante, sarebbe servito a lei per farle passare una volta per tutte la voglia di fare il furbo, a insegnarle a rispettare quelle elementari leggi sui rapporti commerciali.

Cose di questo genere purtroppo non si possono fare senza poi finire in questura. Mi creda, è un peccato. Ma non si preoccupi, è solo un mio rammarico. Devo fare i conti col fatto che sono nato nell’epoca sbagliata e forse mi sarei trovato più a mio agio nel medio evo. O anche solo negli anni settanta, non saprei.

La cosa che mi dispiace tantissimo, in merito a questa vicenda, è proprio questa. Che anche se sono tornato a casa coi soldi che mi doveva, non le ho insegnato nulla. Queste piccole vittorie, con gente come lei, non servono a nulla. Non ho contribuito a migliorare il posto in cui vivo. Lei non racconterà niente a nessuno, è fin troppo abituato a fare delle figure meschine, ad essere lei il disonesto, a farla franca il novantanove per cento delle volte, a giocarsi e a perdere senza rimpianti l’unica faccia che ha.

Sa bene che le andrà meglio la prossima volta che proverà e riuscirà a non pagare qualcun altro.

Sono tornato a casa coi miei soldi, ho ottenuto quel che volevo ma ancora mi vergogno per lei. Per la persona che è, e per tutte le persone come lei.

La sua condanna, sig. Spruzzetto, è essere la persona che è. La sua condanna è dover rispondere per tutta la vita “tutto bene” quando la sua signora le chiede come è andata oggi al lavoro. La sua condanna è di entrare in un concessionario e venirne fuori con un’inutile e costosissima auto presa a leasing che le servirà per andare a bere l’aperitivo vestito con abiti firmati di seconda scelta raccontando ai suoi pari dove trascorrerà le ferie. La sua condanna è quella di far parte di una classe dirigente che va in giro con il colletto della polo alzato per convincere tutti di essere vincente, un esempio da seguire.

La sua condanna è quella di essere una delle cause dello sfacelo che ci circonda.

Io mi vergogno. E le chiedo cortesemente di trovare un minuto per vergognarsi un po’ anche lei.
Potrebbe giovarle e potrebbe addirittura contribuire a migliorare un po’ il mondo.

Stia bene.

Aurelio Toscano – Fotografo

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date loro dei croissant.

questa cosa ci ho messo un po’ a decidere se scriverla oppure no.

il motivo per non scriverla era questo: visto che si parlerà di una gita a venezia con la signorina, ma una gita non proprio nostra, una gita proposta e organizzata da degli amici suoi, che un po’ alla volta stanno diventando anche amici miei ma che tecnicamente sono appunto amici suoi, non vorrei che questi amici suoi che un po’ stanno diventando anche miei poi leggono queste mie riflessioni sulla gita a venezia e pensano anche giustamente madonna che pigna nel culo il moroso della nostra amica la prossima volta non lo invitiamo, che se ne stia a casa sua.

e allora avevo pensato di non scriver niente. poi però ho pensato anche beh mica è colpa degli amici della signorina se nel mondo succedono delle cose strane che mi danno da pensare e poi da scrivere. e quindi oh, amici della signorina, se capitate qui a leggere questa cosa per favore non prendetevela, io a voi vi voglio già bene come se eravate degli amici miei.

bon, la captatio benevolentiae l’ho scritta, adesso posso andare avanti.

dicevo, è andata così, dai che sabato pomeriggio andiamo tutti a venezia c’è l’art night.

volentieri, che cos’è l’art night?

è una cosa che dalle sei di sera fino a mezzanotte aprono tutti i musei, le fondazioni private, si entra gratis ne approfittiamo andiam giù andiamo a vedere la collezione peggy guggenheim, poi c’è il museo del vetro il museo del profumo poi andiam per bacari a bere e a mangiare poi prendiamo l’ultimo treno e si torna a casa.

bellissimo. va bene andiamo, ho detto. poi ho pensato, eh, di sabato con le entrate gratis a venezia, vedrai che troiaio. ma me lo son tenuto per me. che ho pensato anche dai su stai sereno.

siamo andati. un troiaio.

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(bello questo finale. quasi quasi questo post lo tronco qui, che fa un bell’effetto, anche se volevo andare avanti a scrivere e a raccontare il casino che c’era dentro al guggenheim, veder il popolo che transumava in massa davanti alle opere senza capire un tubo, la sensazione che a volerla descrivere è una sensazione così: le opere d’arte sono riservate agli intellettuali paganti, ma per una volta apriamo la porta anche a voi zotici poveracci ignoranti così vi facciam contenti, dai su entrate, guardate senza capire niente e fate presto che c’è la fila. ecco, magari cercate di non sporcare troppo, l’uscita è da quella parte, grazie)


ansia da prestazione.

ieri sera sono andato a far prove con un gruppo. hanno dei casini col loro chitarrista mi han chiesto di andare a suonare con loro. ed ero contento, che i pezzi che fanno li conosco e son cose che suonavo col mio gruppo che si è sciolto un anno fa. e niente, dovevo suonare e fare le seconde voci.

solo, c’eran tre problemi grandi.

il primo è che quei pezzi non li suonavo da ormai un annetto, non è che me li ricordavo tanto bene.

il secondo è che nel vecchio gruppo eravamo due chitarre, ci dividevamo le parti, mentre invece in questo gruppo dove ho suonato ieri sera la formazione prevede una chitarra soltanto, dovevo far tutto io anche delle parti che non ho mai suonato.

il terzo problema è che io come cantante non è che sia un fenomeno, per fare i cori fatti bene nell’altro gruppo c’era voluto del tempo, e stare lontano dalle sigarette, e allenar la voce a fare delle cose alte, basse, non son mica facili i cori di quelle canzoni. e io invece ieri sera venivo da una settimana di raffreddore con la tosse, e quindi oltre che esser fuori allenamento ero anche pieno di catarrone non stavo mica tanto bene.

e quindi, non è che sia andata una meraviglia. suonare, ho suonato male. cantare, non mi veniva una parte decente neanche a prendermi a pedate.

beh, ma glielo avrai pur detto che eri fuori allenamento, che avevi i polmoni e la gola conciati male.

oh, beh sì e no, quando sei lì mica puoi stare tanto a giustificarti. che se no è come andare a letto con una la prima volta e per tutta una serie di motivi non fai una gran bella figura, mica le puoi dire porcocane che roba strana, eppure mi ricordo che con quella prima di te ce l’avevo d’acciaio.

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mosquito deep.

stavo pensando l’altra sera che ho dormito a casa mia, ma con tutti i ragni e ragnatele che lascio tranquilli sui soffitti della mia camera, della cucina del corridoio del bagno, che con tutta la fatica che fanno i ragni a far le loro tele mi dispiace sempre tirarli via non mi danno neanche fastidio, dico, con tutti sti ragni che girano indisturbati con le loro ragnatele fatte apposta per tirar su delle prede, possibile che ho la casa piena di zanzare?

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usa la forza giovane skywalker.

son stato di nuovo in ospedale stamattina a farmi controllare la medicazione. sono andato in ortopedia preso il numeretto ho aspettato il mio turno.

poi dopo un po’ mi han fatto entrare, l’infermiera mi ha fatto tirar giù le braghe, stendere sul lettino

dottor yoda il paziente è pronto per la medicazione, ha detto.

io ero lì col sedere per aria felicissimo che arrivava yoda a medicarmi, invece poi è spuntato il dottore, non era mica yoda.

ho guardato la targhetta appesa al camice, c’era scritto dottor rioda. avevo capito male.

mai una gioia.

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tra la fasi del lutto c’è l’accettazione.

ieri sera anzichè andare in giro a spaccarmi di birre come tutte le persone normali sono andato al pronto soccorso, che mi si è gonfiata la botta sul culo, una roba da matti, il male. sono entrato al pronto soccorso c’era l’infermiera all’accettazione che ha compilato il modulo mi ha fatto delle domande.

buonasera, son caduto in bici una settimana fa.

ed è caduto da solo?

sì non avevo passeggeri.

  


non pensavo così tanti.

ero qui sul divano mi è venuto un pensiero. ho preso su una calcolatrice. dal giorno che son nato son passati tredicimila e cinquecentotrenta giorni. 

non avrei mica detto.

  


grazie.

la scorsa settimana è passata qua in studio una nostra collaboratrice abbiam fatto recentemente un lavoro per un cliente stavamo parlando è saltato fuori che questo cliente le ha scritto un’email per ringraziarla del lavoro svolto.

beh mi son commossa, fa sempre piacere quando qualcuno si rende conto delle robe che hai fatto per lui e perde due minuti per dirti grazie, non capita mica spesso.

immagino. a me non ha mandato nessuna email di ringraziamento. in effetti, le ho detto, a me non è mai capitato che un cliente mi scrivesse per ringraziarmi. tornano quasi tutti quasi sempre a far altri lavori, che si trovan bene a lavorare con me. ma mai uno che si sia sentito in dovere, oltre che di pagare, anche di scrivermi una lettera di ringraziamenti, di complimenti.

ma dai, sul serio?

sì. ma credo sia colpa mia, che sono un po’ un orso. al mio socio l’anno scorso invece gli è capitato. che lui secondo me piace di più alla gente. ha fatto un lavoro per una ditta, è venuto bene, a fine lavoro gli han mandato una lettera piena di complimenti e di ringraziamenti, gli hanno pure fatto un regalo.

ma dai.

sì. solo che poi quest’anno il lavoro l’han fatto con un altro fotografo che costava di meno.

grazie


il senso della vita pt. II

questa cosa la scrivo per veder se nel frattempo smette di piovere. che stamattina ho lavato la macchina faceva schifo era tutto l’inverno che non la lavavo. c’era il sole l’ho lavata poi l’ho lasciata qui fuori dallo studio sotto la tettoia sono andato a fare un giro in bici son tornato ora che piove e insomma, mi spiace bagnar la macchina appena lavata stamattina dopo dei mesi che non la lavavo.

magari se perdo un po’ di tempo a scrivere smette di piovere e poi la riporto a casa ancora pulita.

e allora, cosa volevo dire, ho lavato la macchina poi sono andato al supermercato a prender delle barrette energetiche da sportivi, che era da ieri a pranzo che non mangiavo niente, ho pensato proviamo queste barrette energetiche per gli sportivi, così anche se non mangio da un po’, son dei giorni che mi sto trattando un po’ male, magari mi danno dell’energia per fare un giro in bici. ho mangiato anche una banana.

poi son partito. e siccome è un periodo di grande introspezione e di grande mancanza di eventi atletici ho pensato dai che facciam come l’altra volta che ero senza allenamento avevo anche fumato delle sigarette, andiam su in cansiglio così mi viene un bell’infarto e non ci pensiamo più.

e infatti sono andato.

e mentre andavo su avevo in testa di nuovo la stessa canzone dell’altra volta, che è anche da un po’ che non ascolto quel disco, e casualmente mi è rientrata in testa me la cantavo tra un tornante e l’altro. mancavano gli slacai sfrappolati con le castagne matte, che ormai è primavera, l’altra volta era autunno, mentre invece le riflessioni sul senso della vita erano ancora più o meno le stesse.

solo, questa volta non ce l’ho mica fatta ad arrivare in cima. a metà salita mi stava venendo un infarto sul serio ho dovuto fermarmi. poi ho provato a ripartire ma dopo dieci metri ho detto va beh. e son tornato giù.

mi è dispiaciuto tanto. che anche altre volte in passato sempre senza allenamento mi son trovato su una salita col cuore che mi saltava per aria, poi un pochino alla volta in qualche maniera arrivavo fin dove dovevo arrivare. questa volta ho rinunciato. non ho ancora deciso se dar la colpa al corpo o alla testa, proprio non so. ho rinunciato e basta.

e poi si è messo a piovere e ieri sera c’era un tempo un po’ così stavo guardando un film, ad un certo punto c’era questa battuta che diceva signorino bruce lo sa perchè cadiamo? per imparare a rialzarci.

mentre stavo tornando in studio pioveva son caduto con la bici in mezzo a una rotonda. uno di quei bei voli che ti parte la ruota davanti e finisci steso con tutta la parte sinistra del corpo che batte per terra e scivoli via e le macchine dietro che si fermano per non passarti sopra e tu che ti rialzi facendo segno alle macchine ferme che va tutto bene, che posson ripartire tranquilli.

sto bene eh, mi fa male tutto quanto, ma cammino sto bene è tutto apposto, i soliti sbreghi su gomito e ginocchio e tutta la chiappa sinistra nera. una caduta in bici normalissima, niente di mortale. solo un gran male diffuso.

e allora mentre tornavo in studio dopo la botta con la bici a mano mi è ritornata in testa quella battuta del film di ieri sera, signorino bruce lo sa perchè cadiamo? per imparare a rialzarci. e ho pensato ma porcocane è una vita che cado sempre allo stesso modo, in curva sul bagnato, mi son rialzato tutte le volte, potrei scriverci dei libri sul cadere in curva sul bagnato e poi rialzarsi.

solo che io arrivato a questo punto vorrei tanto cadere in maniera diversa, per una volta, imparare a rialzarmi in una maniera nuova.

nel frattempo ha smesso di piovere. vado a casa a disinfettarmi.

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tu pensa il telaista.

son stato a bergamo lo scorso fine settimana, c’era in giro un disastro di gente che han riaperto l’accademia carrara.

sarebbe, l’accademia carrara, per i non bergamaschi, un bel posto pieno di opere d’arte. han fatto dei restauri è stata chiusa per credo degli anni, non so per quanto tempo di preciso perchè a bergamo non ci vivo da tanto non sono molto aggiornato sulle cronache locali dovrei documentarmi meglio ma il tempo a disposizione è sempre quel che è.

e niente, han riaperto l’accademia carrara per l’inaugurazione si entrava gratis lo scorso fine settimana c’era tutto un movimento di appassionati d’arte.

e mi è venuto in mente che quando a bergamo ci vivevo, per un po’ di tempo ho fatto il giornalista, scrivevo per una testata nazionale una volta mi avevano chiamato all’accademia carrara perchè avevano lì un taglio di fontana che era stato dedicato dall’autore lucio fontana al famoso ciclista felice gimondi, dovevo scrivere un articolo per il giornale.

ora, devo dire, comincio ad aver qualche dubbio sulla veridicità di questo racconto perchè mi ricordo che dietro al quadro di fontana c’era la dedica a gimondi, sono andato adesso su internet a cercare questa dedica ma non trovo nessuna notizia che metta insieme lucio fontana e felice gimondi, forse tutta questa storia me la sto inventando di sana pianta, e può essere che l’opera non era di fontana o il ciclista non era gimondi, chi lo sa.

comunque io mi ricordo così, che mi han chiamato, sono andato e c’era questo evento per cui mettevano in mostra all’accademia carrara un taglio di fontana dedicato a gimondi ed era presente all’evento felice gimondi in persona all’epoca sessantenne, se poi era lui e io mi ricordo bene la storia. grande assente lucio fontana aimè deceduto a comabbio il sette settembre millenovecentosessantotto. e io sto parlando di un evento avvenuto, sempre se non mi sto inventando tutto, nel duemilaeuno.

insomma, c’era questo evento con rinfresco a seguire e il direttore dell’accademia tutto orgoglioso presentava l’opera di fontana in presenza di gimondi. che io non è che lo conosca personalmente, felice gimondi, però me lo immagino molto ciclista. un po’ come dire molto calciatore, se vogliam capire cosa intendo.

infatti mi ricordo che era lì attonito, che presenziava all’evento e aveva la faccia di quello che si è perso al supermercato.

e quando ad un certo punto il direttore dell’accademia ha ceduto la parola a gimondi chiedendogli di dire due parole, io adesso son passati degli anni, non ricordo assolutamente cosa ha detto gimondi, ricordo che ha detto qualcosa di imbarazzato, il succo era mah, sì, io non me ne intendo molto di arte comunque son molto orgoglioso che fontana mi abbia dedicato quest’opera.

oggi mi è tornato in mente questo evento che ha avuto luogo ormai quindici anni fa e non sono nemmeno sicuro che si trattasse di fontana e di gimondi però mi son detto sarebbe stato bello se gimondi quando gli chiedevano di dire qualcosa prendeva il microfono e con la sua praticità da ciclista, da uomo votato alla fatica del corpo e non all’arte, diceva beh, pensa il suo telaista, di fontana.

come? gli avrebbe chiesto il direttore dell’accademia carrara.

no, dico, quello che a fontana gli preparava i telai, le tele, con il legno e la tela.

e allora?

eh, dico, poveraccio, secondo me mica gli stava dietro, a fontana, avrà dovuto lavorare come un matto, non faceva in tempo a preparargli le tele e a consegnargliele che già fontana le aveva trasformate tutte in opere d’arte, era velocissimo.

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ne vale la pena.

settimana scorsa ero a prove con quelli del gruppo in cui suono e si parlava di cene di pesce, prima di cominciare a suonare, mirko raccontava di questo ristorante dove va ogni tanto a eraclea, diceva che ci si mangia bene ti portano un mucchio di antipasti si spende un sacco di soldi ma ne val la pena. e infatti mi son segnato subito il nome e già sabato ero lì che dicevo alla signorina cosa ne pensi se questa sera che piove non c’è niente da fare tu e io prendiamo e andiamo in un posto a mangiare a eraclea che si mangia il pesce come dio comanda non ci son mai stato ma me lo ha consigliato mirko e mi fido?

a eraclea? perfetto, così visto che siam di strada possiam passare un attimo in un centro commerciale lì a noventa c’è un negozio non mi ricordo già più come si chiama distrazione tessile una cosa così andiamo a veder se trovo delle scarpe.

e visto che ormai nella testa avevo già gli antipasti di pesce che giravano ho detto di sì che ci andavo volentieri, in questo centro commerciale al sabato pomeriggio a cercare delle scarpe prima di andare a mangiare pesce.

poi mentre eravamo in macchina mi son reso conto che effettivamente ci stavamo dirigendo verso un centro commerciale al sabato pomeriggio. che è una cosa che io normalmente nella mia vita non la farei mai. stavo per scrivere una di quelle iperboli per sottolineare che io non ci andrei mai e poi mai in un centro commerciale il sabato pomeriggio a cercare delle scarpe, nemmeno sotto tortura nemmeno se torturassero dei miei parenti, ma poi ho pensato che non ce n’era il bisogno e infatti vi basti sapere che io, in un centro commerciale al sabato pomeriggio, mai.

e sempre mentre ero in macchina ho pensato che in fondo non me ne fregava poi più di tanto di ritrovarmi da lì a poco in un centro commerciale al sabato pomeriggio. intanto perchè era già tardino non c’era il rischio di passarci il pomeriggio intero, e poi perchè c’è un fatto da non sottovalutare, che io con la signorina quando faccio delle cose, ci ho proprio fatto caso, mi diverto sempre moltissimo.

siamo arrivati, siamo entrati. e questo negozio molto grande che io adesso non son più sicuro di come si chiama, manifestazione tessile una cosa così, ho dovuto prender atto immediatamente del fatto che è un negozio che vende cose solo per le donne, per i maschi non c’è niente. poi, ho visto anche appena sono entrato, c’erano molte donne alla ricerca del capo d’abbigliamento, dell’accessorio, della borsa, della scarpa perfetta. poi ancora, ho visto che c’erano parecchi uomini accompagnanti le donne di cui sopra.

io lo so che sto trattando un tema trito e ritrito, quello dei maschi al centro commerciale con le morose. ma non essendoci mai stato io prima, era la prima volta che li vedevo. è un po’ come aver visto un sacco di documentari sugli animali preistorici, poi non è mica la stessa cosa quando ti ritrovi un bel giorno di fronte a un triceratopo vivo.

e insomma, poveretti, questi uomini, si annoiavano. c’erano quelli che gironzolavano da soli ciondolanti in attesa della fine, quelli seduti su delle seggiole credo posizionate appositamente negli angoli che fingevano di interessarsi alle scelte della loro signora, quelli fermi in piedi con lo sguardo perso nel vuoto come dei palloncini legati a una staccionata, quelli seduti su un divanetto appartato in zona macchinetta del caffè con quotidiano o ipad.

una cosa straziante, a guardarli. io, sarà che ero alla prima esperienza, stavo bene. secondo me, ho pensato, magari eran partiti come me anche quegli altri la prima volta che son capitati in un centro commerciale al sabato pomeriggio, stavano bene. poi, col passare del tempo son diventati così, girovaganti, seduti, fiaccati dalla vita e dallo shopping.

siamo andati a veder le scarpe, con la signorina. l’ho aiutata a scegliere. che sull’abbigliamento mi sono accorto in questi mesi che ogni tanto abbiam gusti simili, ogni tanto invece siamo molto divergenti. abbiam questo modo colorito di affrontare la moda fatto di mmmh no dai con queste scarpe sembri una battona e uuuuh prova queste prova queste prova queste guarda che belle ce le aveva uguali una in un film porno che ho visto tempo fa. e insomma, si stava proprio bene abbiam riso molto. poi finito con le scarpe ha detto bene prendo queste e l’ho portata nel reparto cappotti che ne avevo visto uno verde secondo me le stava bene.

gira di qua, gira di là, intanto non potevo smettere di guardare questi altri uomini che aspettavano la fine un po’ mi facevan ridere, un po’ pensavo chissà se mi capiterà di diventare uno di loro. e ad un certo punto è partita la voce dell’interfono diceva signore e signori vi informiamo che il negozio, che adesso non mi ricordo più come si chiama, infiltrazione tessile una cosa così, chiuderà tra quindici minuti.

e allora mi son subito guardato intorno e li ho visti. gli uomini. ho sentito il loro comune sospiro di sollievo. c’era chi si alzava dalla seggiola nell’angolo, chi tirava fuori dei gran sorrisi, chi andava verso la signora dicendo eh sì stanno proprio per chiudere amoremio, c’era uno di quelli che gironzolavano che ha smesso di gironzolare e si è messo a ballonzolare felice.

è stata una cosa bellissima. come nei cartoni animati quando arriva la primavera nel bosco incantato e fanno vedere i germogli che germogliano, i fiori che fioriscono, le piante che verdeggiano, era tutto un rifiorire di maschi sparsi qua e la per il negozio.

la cosa interessante era anche che era chiaro che le signore e signorine, nel corso di tutto questo tempo, non avevan fatto caso a nulla, non si erano mica accorte che i loro maschi eran stati tutto il tempo in uno stato di torpore quiescente e che poi si eran risvegliati in quella maniera che a vederli erano anche belli.

voglio dire, la cosa che mi ha lasciato un po’ così era proprio quella, che ci siano questi automatismi di coppia per cui le persone vanno a fare delle cose insieme anche se non ne hanno nessuna voglia. e mentre uno dei due è lì che pensa al suicidio, l’altra si fa completamente i cazzi suoi senza badare al fatto che l’altro sta pensando di suicidarsi. questo, dico, nel caso specifico di questo negozio che non mi ricordo come si chiama, istigazione tessile, una cosa così. poi immagino che succeda la stessa cosa ma tutta al contrario quando gli uomini portano le loro signore alla partita del pallone o altre brutture simili.

e poi, niente, siamo andati a cena in questo posto a eraclea ci siamo sfondati di pesce, è un posto che ve lo consiglio anche a voi, si spendono un sacco di soldi ma ne vale la pena.

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poi dice che gli imprenditori si suicidano. per forza. pt.II

un po’ di tempo fa avevo scritto questa cosa, magari ve la ricordate anche. e niente, volevo dire che alla fine la scemata l’ho fatta.
prendendola un po’ larga, come al solito.

ogni tanto mi chiedo se questo approccio non sia solo una mascherina che uso per nascondere il fatto che non ho il coraggio di spendere i soldi che servono tutti in una volta per entrare semplicemente in un negozio e comprare la bici da corsa in carbonio, l’impianto stereo da ventimila euro, l’orologione, la chitarra più costosa, la macchina nuova, o anche quella storica ma già bella e restaurata. oppure per andare in cerca di uno spazio dove lavorare già perfetto pronto e pulito, anziché mettere apposto i capannoni settecenteschi abbandonati.

poi però ci penso bene e no. è proprio che la parte che mi piace di più, nel possedere degli oggetti, è quella di  prenderli smontarli capire come funzionano aggiustarli metterci un sacco di tempo rovinarmi le mani imparare delle cose fare dei lavori che non avevo mai fatto prima.

anche questa volta, come tante altre in passato, ho un po’ la sensazione di aver fatto il passo più lungo della gamba. però oh, vedremo come andrà a finire.

visto che l’impresa è abbastanza titanica, stavo anche pensando che se qualcuno ha voglia di approfittare dell’occasione per scoprire come si rimette insieme una macchina che è stata nuova più di quarant’anni fa e che negli ultimi vent’anni è rimasta ferma a far ruggine può tranquillamente venire qui e darsi da fare.

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brevissimo colloquio con un uomo schifoso.

ieri sera mi son trovato su un terrazzino a far due chiacchiere veloci con un amico.

e siccome era qualche giorno che non ci vedevamo ci stavamo aggiornando sugli eventi recenti. che le ultime settimane son state un po’ rocambolesche.

a noi maschi ogni tanto piace questa cosa del trovarci lì due minuti su un terrazzino a tirar le somme della vita guardando il tramonto, quella situazione da eroi cinematografici sopravvissuti ad un’ora e tre quarti di film americano spara e picchia duro.

e insomma eravamo lì come due bruce willis a far chiacchiere veloci, non c’era il tempo per fare analisi approfondite, che ci sarebbe voluta una serata intera ma ormai siam disabituati a far queste cose noi maschi sopravvissuti è tutto un cavarsela da soli, l’amico del cuore cui confidare i problemi ci suonava già male ai tempi delle superiori, figurati ora che abbiam quasi quarant’anni. e quindi, per tirar le somme, ad un certo punto dicevo una cosa come guarda io ce l’avrei anche una condotta da seguire, un modo mio per star tranquillo. solo che a forza di guardarmi intorno e veder situazioni brutte e logorate, ad un certo punto mi sento come il vecchio che si infila in contromano in autostrada e si incazza perchè son tutti che vanno dalla parte sbagliata.
e il mio amico mi ha guardato mi ha detto beh io ci son dei giorni che vorrei una bella lobotomia.
sì?
sì. farmi lobotomizzare, con il rivolo di bava e tutto il resto, non capire un cazzo, non vedere le cose. andare in giro contento.