Articoli con tag “sociopatia

mi raccomando vieni elegante.

son stato via lo scorso finesettimana dovevo presenziare a un evento, la signorina mi ha detto mettiti elegante.

e c’è questa cosa dell’eleganza che per gli uomini è facile, un paio di pantaloni una camicia una giacca e in qualche maniera si fa. poi ultimamente anche se per gli uomini sarebbe abbastanza facile vestirsi eleganti vedo in giro di quelle cose, risvoltini, caviglie di fuori, mocassini scamosciati verdi e arancioni, camicie trasparenti, capigliature brutte, secondo me sono confusi.

insomma ero via lo scorso finesettimana ero in spagna e in spagna a giugno ci sono trentacinque gradi abbondanti e siam partiti alle cinque del pomeriggio per andare a questo evento. gli uomini eravamo vestiti, a parte quelli confusi, eleganti chi col completo chi con lo spezzato, normali insomma. tutti indistintamente imbarazzati dal fatto che ancora prima di arrivare all’evento stavamo sudando e puzzando vistosamente.

le donne invece son partite vestite che secondo loro erano eleganti, e invece solo alcune erano eleganti, mentre la maggior parte eran combinate in una maniera che non si capiva se erano uscite fuori da un video degli abba o se avevano appena smontato dal turno di notte al lampione in pontebbana. comunque sia erano tutte mezze nude e stavano belle fresche nonostante i trentacinque gradi.

poi verso seretta è andato giù il sole, ha cominciato a fare fresco e cosa è successo, è successo che gli uomini si toglievano la giacca e la mettevano sulle spalle della loro compagna, che giustamente era lì mezza nuda, cominciava a fare fresco, era infreddolita. e il resto della serata andava avanti così, che c’erano degli uomini che avevan passato il pomeriggio a sudare perchè eran costretti a vestirsi eleganti col completo a giugno, e ora erano lì in maniche di camicia a farsi prendere il cagotto mentre le donne, che si erano tenute belle fresche tutto il pomeriggio mezze nude ora stavano lì avvolte al caldino in una giacca da uomo taglia cinquantadue.

e bisogna proprio ammetterlo, non esiste niente di più elegante di un uomo in camicia slim fit con la panza gonfia e una donna infagottata in una giacca più grande di lei.

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ho risolto il problema dei vegani.

-e quindi, se ho capito bene, il motivo per cui non mangi alimenti di derivazione animale è essenzialmente etico.

-sì. e non solo non mangio alimenti di derivazione animale, ma neanche li uso per vestirmi. niente lana, niente pelle.

-il problema è il maltrattamento degli animali, giusto?

-sì certo. vengono uccisi e non va bene.

-beh dai, non sempre. per ricavare la lana mica uccidono le pecore, le tosano soltanto. e il miele, non mi pare che le api vengano uccise.

-sì, certo. ma comunque anche loro sono costrette a delle condizioni di vita non naturali e subiscono un trattamento brutto.

-ok, ci sono. però aspetta un attimo. non ti vesti di pelle e lana, ma qualcosa addosso te la dovrai pur mettere. ti capiterà di andare a comprare vestiti da eichenem o simili, vero?

-eh sì, per forza.

-e immagino tu sappia benissimo che quelle catene sfruttano manodopera asiatica, con persone costrette a condizioni lavorative inumane, sottopagate, e tutto perchè noi si possa comprare le magliette a quattro euro l’una.

-sì sì, ma tutto sommato chissenefrega. a me importa degli animali, non degli esseri umani.

-e allora, secondo me, volendo, i vegani un pochino di carne potrebbero anche mangiarla.

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il prossimo paga per tutti.

ho fotografato un matrimonio, recentemente. ogni tanto mi capita.

sto facendo la postproduzione, che devo consegnar le foto, anche questa volta mi accorgo che una foto ogni tre che ho scattato c’è qualcuno con un cellulare in mano.

ora, io vi avviso, la prossima volta che esco a fotografare un matrimonio, giuro che lo faccio apposta di fotografarvi solo mentre avete un telefonino in mano.

così poi magari vi accorgete anche voi, in che mondo stiamo vivendo.

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grazie.

la scorsa settimana è passata qua in studio una nostra collaboratrice abbiam fatto recentemente un lavoro per un cliente stavamo parlando è saltato fuori che questo cliente le ha scritto un’email per ringraziarla del lavoro svolto.

beh mi son commossa, fa sempre piacere quando qualcuno si rende conto delle robe che hai fatto per lui e perde due minuti per dirti grazie, non capita mica spesso.

immagino. a me non ha mandato nessuna email di ringraziamento. in effetti, le ho detto, a me non è mai capitato che un cliente mi scrivesse per ringraziarmi. tornano quasi tutti quasi sempre a far altri lavori, che si trovan bene a lavorare con me. ma mai uno che si sia sentito in dovere, oltre che di pagare, anche di scrivermi una lettera di ringraziamenti, di complimenti.

ma dai, sul serio?

sì. ma credo sia colpa mia, che sono un po’ un orso. al mio socio l’anno scorso invece gli è capitato. che lui secondo me piace di più alla gente. ha fatto un lavoro per una ditta, è venuto bene, a fine lavoro gli han mandato una lettera piena di complimenti e di ringraziamenti, gli hanno pure fatto un regalo.

ma dai.

sì. solo che poi quest’anno il lavoro l’han fatto con un altro fotografo che costava di meno.

grazie


brevissimo colloquio con un uomo schifoso.

ieri sera mi son trovato su un terrazzino a far due chiacchiere veloci con un amico.

e siccome era qualche giorno che non ci vedevamo ci stavamo aggiornando sugli eventi recenti. che le ultime settimane son state un po’ rocambolesche.

a noi maschi ogni tanto piace questa cosa del trovarci lì due minuti su un terrazzino a tirar le somme della vita guardando il tramonto, quella situazione da eroi cinematografici sopravvissuti ad un’ora e tre quarti di film americano spara e picchia duro.

e insomma eravamo lì come due bruce willis a far chiacchiere veloci, non c’era il tempo per fare analisi approfondite, che ci sarebbe voluta una serata intera ma ormai siam disabituati a far queste cose noi maschi sopravvissuti è tutto un cavarsela da soli, l’amico del cuore cui confidare i problemi ci suonava già male ai tempi delle superiori, figurati ora che abbiam quasi quarant’anni. e quindi, per tirar le somme, ad un certo punto dicevo una cosa come guarda io ce l’avrei anche una condotta da seguire, un modo mio per star tranquillo. solo che a forza di guardarmi intorno e veder situazioni brutte e logorate, ad un certo punto mi sento come il vecchio che si infila in contromano in autostrada e si incazza perchè son tutti che vanno dalla parte sbagliata.
e il mio amico mi ha guardato mi ha detto beh io ci son dei giorni che vorrei una bella lobotomia.
sì?
sì. farmi lobotomizzare, con il rivolo di bava e tutto il resto, non capire un cazzo, non vedere le cose. andare in giro contento.


questo fine settimana non si va a mangiare la pizza.

mi è arrivata una raccomandata son dovuto andare a ritirarla in ufficio postale fare una coda di mezz’ora era un avviso dell’agenzia delle entrate.

dice questo avviso dell’agenzia delle entrate che nel modello unico del duemilaetredici son stati fatti degli errori che devo dare loro dei soldi e che bisogna che li paghi entro trenta giorni questi soldi che devo allo stato, altrimenti potrei ricorrere in sanzioni. e che però, volendo, posso anche fare richiesta per pagarli a rate.

ventuno euro e cinquanta centesimi.

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che poi magari esplodo.

quando mi vedete che faccio il puro, che mi vien l’odio a vedere le coppie che si tradiscono, o perchè mi stanno strettissime le dinamiche di sottomissione familiare, quando vado in bestia perché non riesco ad accettare che il lavoro arrivi solo nelle mani di chi ha il papà giusto, l’amico giusto, il culo giusto da leccare, quando vado via di testa perché vengono considerate più elevate socialmente le persone piene di debiti con le banche, che evadono il fisco, che lasciano a casa famiglie per far fallire aziende e girano comunque col macchinone, quando mi vedete incattivito perché dico che mi sento circondato e che non capisco più cosa devo fare per tirare avanti senza farmi venire un fegato grosso così, ecco, quando faccio il puro non dovete pensare che faccio il puro perchè son nato ieri e son troppo scemo per capir come funziona la vita. faccio il puro perché sono in giro da abbastanza tempo e ho visto tanta tanta tanta di quella roba brutta che magari non mi considero infallibile, ma diciamo che un’opinione sulla gente che vedo girarmi intorno me la son già bella e fatta.

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certe volte la gente è strana.

son tre notti di fila che dormo poco, stamattina mi son svegliato alle sei del mattino mi son rotolato un po’ nel letto poi mi son tirato su con calma ho fatto la doccia alla ozy che è stata in gita qualche giorno dai suoi amici bassotti ciuloni è tornata che puzzava come il demonio. già ieri sera si intuiva che c’era bisogno di fare un lavaggio straordinario, quando mi son svegliato ho avuto la conferma, una roba che non si respirava tra me e lei non si capiva chi aveva più bisogno di una doccia, diciamo pure che ne aveva più bisogno la ozy ma anche io che son tre notti che non dormo mica profumavo di mughetto, ci siam lavati un po’ tutti. poi mi son ricordato che la cucina aveva bisogno di una sistemata, ho  pulito la cucina poi son venuto in studio. con calma. che mi son fermato a fare colazione al bar ho incontrato uno che conosco abbiam fatto due chiacchiere.

e mentre venivo qui in studio ho pensato una cosa. che non sarò ancora diventato ricco, anche se mi riprometto di diventarlo prima o poi, ma almeno una cosa buona nella vita l’ho fatta. avere un lavoro mio che la mattina non devo correre come un deficiente per arrivare in orario, che posso fare le cose con calma, cominciare quando voglio, finire quando voglio.

che il dolore più grande da un punto di vista scolastico e lavorativo me l’ha sempre dato l’obbligo di dovermi svegliare presto per sottostare agli orari di qualcun altro, non potermi tirare su con calma. e infatti adesso non è che mi sveglio alle dieci del mattino. mi sveglio comunque prestissimo. ma con la libertà interiore che se mi vien voglia di girarmi dall’altra parte, è un problema solo mio.

poi, volevo dire, questa settimana abbiamo qui una ragazza in studio, una stylist. stiam facendo un lavoro per un cliente della moda bambino, abbiamo in studio questa collaboratrice esterna. e io non lo so, avrà ventitrè ventiquattro anni, è arrivata che ci dava del lei, a me e al mio socio, il primo giorno. le ho spiegato subito che qui non ci si dà del lei, siam gente serena giovane dentro. poi ieri ad un certo punto io avevo dormito poco il mio socio aveva dormito meno di me, era pomeriggio avevamo un umore un po’ così abbiam detto oh, facciamo che andiamo a mangiarci un gelato. e siamo andati. io, il socio, la collaboratrice esterna. e mentre ero lì con la coppetta in mano, in piazza flaminio a guardar le case dall’altra parte del meschio a pensare tra me e me ai miei casini, avevo in parte questa collaboratrice esterna che aveva voglia di far conversazione mi ha fatto una raffica di domande anche molto personali io ad un certo punto mi son dovuto imbarazzare.

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la donna la donna la donna… ohll’omo?!

il titolo di questo post è una citazione dal film Berlinguer ti voglio bene, di Giuseppe Bertolucci, 1977. un bel film, se non l’avete visto provvedete a colmare la lacuna.

questa mattina sono andato a far colazione al bar, come consuetudine, e mancando parcheggi liberi ho gironzolato due secondi davanti al bar ho visto una macchina che stava uscendo da un parcheggio mi son messo lì fermo ad aspettare che uscisse così mi ci parcheggiavo poi io.

solo che la macchina che stava uscendo dal parcheggio era un suv e chi la guidava era una femmina.

ci ha messo tre minuti di orologio a venir fuori ha fatto cinque sei manovre. e non era un parcheggio difficile spazio ne aveva anche tanto.

e allora vorrei rendervi partecipi di una mia teoria.
che poi quando finite di leggerla se siete superficiali pensate eccolo qua il solito maschilista. e invece no, se ci pensate bene la mia è una teoria che si dispiace per le femmine vittime del maschilismo dei loro mariti.

la teoria è questa qui. ci sono le femmine che non sanno guidare. anche di maschi che non sanno guidare c’è pieno, ma con la mia teoria ora i maschi che non sanno guidare non c’entrano. allora dicevo, le femmine che non sanno guidare loro poverette lo sanno anche, di non esser capaci. e se fosse per loro andrebbero in giro con delle macchine piccole, facili da guidare. ve le ricordate le lancia y10, non quelle di adesso, quelle che giravano negli anni novanta col portellone dietro dritto nero? anche lì avevo una mia teoria, che se vedevi passare una lancia y10, alla guida c’era nove volte su dieci una figa pazzesca, provate a far mente locale, a ricordarvi, vedrete che ho ragione io.

e invece da dieci anni a questa parte le femmine che guidano male, che son sicuro se fosse per loro guiderebbero una macchinina senza pretese che anche se la sbatti da tutte le parti pazienza, loro un bel giorno si trovano un moroso, che poi magari se lo sposano anche. e il moroso, non uno povero, dico un moroso che va dal mediamente benestante al ricco sfondato, questa femmina che si è sposato la ama anche, le vuol del bene. e sa benissimo che questa femmina che si è sposato non è capace di guidare. e allora cosa fa, perde un paio di giornate a spiegare alla sua femmina come si fa a fare un parcheggio decente o a entrare e uscire da una rotonda come si deve? no. perchè la femmina in questione è anche una femminista orgogliosa, e odia che il suo maschio si metta lì a spiegarle come funziona la vita. e bisticciar con la propria moglie è una seccatura che uno se la evita anche volentieri. e allora, il maschio fa un altro ragionamento e dice: amore mio io ti voglio bene e la prima cosa che voglio per te è la salute. non mi va che ti fai male, che rischi di piantarti contro un platano. e questo fatto che guidi di merda, io non sto tranquillo, perchè lo so che prima o poi ne combini una delle tue. e allora sai cosa faccio? ti compro io una bella macchina. ma non una lancia y10, no. ti regalo una specie di carro armato blindato sicurissimo, un suv. che se anche esci male da un parcheggio o giri senza mettere una freccia o sei distratta perchè ti stai rifacendo il trucco a ottanta all’ora in tangenziale, tu con quel suv che ti regalo io non ti fai male neanche se ti impegni. al massimo ci metterai due ore per liberare un parcheggio e quelli dietro che aspettano di parcheggiare al posto tuo per far colazione, che si fottano. ora ci penso io guarda qua.

e allora va da sè, in giro c’è pieno di quarantenni che pur di non farsi spiegare e insegnare qualcosa da un maschio, rischiando così mettere in discussione il loro orgoglio femminista, guidano dei suv giganteschi e non sono capaci. e quando le guardi mentre cercano di uscire da un parcheggio glielo leggi negli occhi che loro quella roba lì non la volevano. che se fosse stato per loro sarebbero ancora in giro con la loro lancia y10 come quando eran delle fighe pazzesche diciottenni.
e invece non possono, poverine. mi fanno una pena che non ve la potete immaginare.

s’apra il dibattito.

(anche s’apra il dibattito è una citazione da berlinguer ti voglio bene, in realtà non mi interessa dibattere sull’argomento)

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fotoamatori, non ne fate una giusta.

e nel combinarne continuamente una più di bertoldo, fate passare me per rompicoglioni di pesantezza inaudita.

vi si fa notare che non siete fotografi professionisti e quindi che sarebbe ora la smetteste di chiamarvi e farvi chiamare fotografi.
e ormai son sicuro che ve lo dice anche vostra mamma quando vi incontra la domenica a pranzo che dovete smetterla.

finalmente dopo anni passati a sfracellarvi i maroni forse vi è entrato in testa, sarebbero soddisfazioni. e invece cosa mi tocca leggere su degli organi di stampa ufficiali?

che siete degli artisti.

ma non ce l’avete un pochino di dignità? e allora basta andatevene affanculo da soli che io non ho la forza neanche per prendere il fiato e mandarvici.
di voi, qui, non parlo più, fate come vi pare. son stremato.
avete vinto, artisti.

e voi altri, che ogni volta che sparo sui cialtroni venite a dirmi ah bravo hai fatto proprio bene glielo volevo dire pure io ma poi però.
ecco, anche voi, sapete dove potete andare.

io più passa il tempo più son convinto che se non crepo perchè mi han bruciato vivo appiccando il fuoco nottetempo al mio appartamento, creperò comunque da solo.
che a mandar sempre tutti a cagare, sai quante belle amicizie che si mantengono.

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la tattica dell’opossum.

l’opossum è un piccolo predatore marsupiale originario della virginia, in america. ha un bel muso simpatico, un grosso sorcio. ma non è un sorcio, un roditore, no. è un marsupiale l’ho appena detto. è un predatore e in quanto tale gli capita ogni tanto di cacciarsi nei guai. alla bisogna si difende, se attaccato, con unghie e denti ma più spesso, quando si vede a mal partito, si finge morto e aspetta che il pericolo sia passato. tuttalpiù approfitta dell’attimo di distrazione del suo avversario per darsi alla fuga.
attraverso la sorpresa e una finta arrendevolezza, l’opossum si dimostra fine stratega maestro delle arti della dissimulazione.

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l’uomo perfetto.

è stato un fine settimana rocambolesco, tanto per cambiare, ed è successo ad un certo punto domenica sera che ci siam trovati qui in studio che eravamo io il mio socio e altri due amici intervenuti per dare una mano. era quel momento che si era fermato tutto, avevam finito di fare le cose che dovevamo fare, stavamo tirando il fiato prima di staccare corrente chiudere lo studio andare a berci una birra. e visto che sempre di lavoro non si può parlare, ad un certo punto il discorso è virato per un attimo sull’argomento figa. che non si sa come mai, sarà questo clima marzolino, sembra quasi d’essere in primavera c’è tutte delle cose strane nell’aria e ad un certo punto il mio socio ha detto sì comunque più vado avanti più ho l’impressione quasi la certezza che tutte le donne con cui ho a che fare non ce ne sia una sana di mente.

eh, perchè noi invece, gli ho detto io.

noi cosa?

no dico, noi qua che passiamo i finesettimana a lavorar come degli stupidi a farci un mazzo così a non aver tempo per noi e per la gente che abbiamo intorno e almeno fossimo diventati ricchi sfondati invece siam qua a controllare se nel portafoglio abbiamo abbastanza monetine per andare a finire sta domenica di merda con una birra e un panino, noi invece siamo normali di testa, siamo il sogno di ogni donna libera, vero?

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per i fotografi professionisti.

oggi tanto per cambiare non sono incazzato con i fotografini quelli finti senza partita iva che lavorano a niente pur di poter raccontare agli amici al bar che loro, nella vita, fanno i fotografi.

oggi ho dei problemi da risolvere invece coi professionisti, quelli con la partita iva. a voi mi rivolgo e vi chiedo, perchè tanto lo so che venite qui a leggere le fesserie che scrivo, da voi voglio sapere cosa ne avete fatto dei diritti di utilizzo. li avrete mica nascosti da qualche parte insieme alla vostra dignità? lo chiedo perchè nei miei preventivi c’è sempre scritto da qualche parte che i diritti di utilizzo sulle immagini li cedo per tot anni e per ben determinati usi. mica che ci possono fare tutto quel che gli passa per la testa per sempre.

questa è una breve lista delle cose che mi sento dire dai clienti ormai giornalmente:

i diritti d’utilizzo? cosa sono? gli altri fotografi non mi hanno mai chiesto nulla di simile. le foto le pago quindi sono mie ci voglio fare tutto quello che voglio. e quanto mi costerebbe tra tot anni rinnovare ed estendere i diritti d’utilizzo? (risposta: e chi lo sa quanto sarà aumentata la benzina tra tot anni?) eh ma non siamo mica a milano, qui da noi i diritti d’utilizzo non si chiedono. gli altri fotografi i diritti d’utilizzo non li chiedono, se vuoi lavorare non li devi chiedere neanche tu. eh sì il preventivo l’ho visto, va molto bene, ma questa cosa sui diritti d’utilizzo potrebbe influire negativamente in maniera determinante.

queste son le più simpatiche, poi se volete continuo.
ora, cari colleghi, posso anche esser disposto a trentacinque anni a far finta di essere scemo e di figurare come quello giovane che si affaccia ingenuamente sul mercato. ma portarmi sulle spalle il retaggio del vostro modo brutto di fare i professionisti è tanto pesante. io ci provo ad essere onesto, a lavorare a cifre di mercato ragionevoli, a non fare concorrenza sleale, e in questo mestiere ci ho investito tutta la mia vita da quando ho potuto iniziare a investire del mio sulla mia vita. ma non posso essere responsabile del fatto che voi, per lavorare, per portarvi a casa i vostri dannatissimi clienti, per vincere le vostre guerre tra poveri, abbiate abbassato le braghe e vi siate fatti infilare nel didietro ma porcocane lasciam stare che se no divento pesante.

vi auguro ogni bene, continuate così.

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sulla crisi dei quarantanni.

un paio di giorni fa c’era qui in studio un mio amico molto amico, aveva una brutta giornata ci siam messi a parlare gli giravano i maroni che fa fatica a relazionarsi col mondo. la parola giusta sarebbe depressione, ma siccome è una parola che proprio non sopporto, vorrei evitare di usarla.

e ad un certo punto gli chiedevo ma stai male perchè giran pochi soldi? no, mi diceva lui, i soldi che ho van bene così, perchè tanto anche se ne avessi di più cosa ci farei? ogni mese troverei il modo per spenderli in oggetti inutili, una volta il cellulare, una volta la moto, una volta qualcos’altro, anche ad aver più soldi finirei soltanto per attorniarmi di oggetti inutili comprati per placare un’insoddisfazione momentanea. ma sai cosa? prima o poi mi ritroverei comunque infelice.

stava messo male il mio amico un paio di giorni fa. poi ieri l’ho rivisto, stava meglio.

e io invece è da una vita che vivo così. non che abbia tanti soldi da spendere in oggetti inutili e costosi, magari. ho sempre avuto una predilezione per gli oggetti inutili e poco costosi. che poi son comunque tanto costosi rispetto alle disponibilità, ma insomma si fa quel che si può.

il rischio è sempre quello di diventare come i quarantenni che hanno la crisi dei quarant’anni, arrivano ad un punto che con la moglie scopano poco, il lavoro non gli dà più soddisfazione, frequentano sempre la stessa gente e si annoiano, vorrebbero saltare addosso a una ventenne ma han paura di combinar casini meglio se non lo fanno, e per evitare di impazzire comprano una bicicletta da cinquemila euro. poi la usano tre volte, si rendono conto che non hanno più il fisico e la bici rimane in garage. e così in qualche maniera han superato la crisi dei quarant’anni. se anzichè comprar la bici si scopano invece la ventenne, stesso risultato, dopo un po’ si accorgono che non hanno più il fisico e se non si sono fatti scoprire dalla moglie la crisi è ugualmente superata.

per quel che mi riguarda, per sopperire a delle mancanze affettive e per evitare di affrontare le mie scarse capacità di relazione con il mondo esterno mi attornio di oggetti. c’è di buono solo una cosa, che ogni volta che lo faccio mi ci appassiono e adotto un approccio attivo. tecnicamente parlando, smonto e rimonto tutto quanto. credo che sia l’unica cosa che mi ha sempre salvato dal sentirmi un quarantenne in crisi. poi periodicamente mi accorgo che sono infelice, ma è una cosa con la quale ho imparato a convivere.

ultimamente, per dire, mi è tornato in auge il concetto di bicicletta. dopo un’adolescenza passata a pedalare con tanto vigore e passione fino all’arrivo del ciao piaggio comprato a ventanni, e dopo un periodo di spostamenti a motore durato quindicianni, mi sono accorto che da un po’ di tempo a questa parte lavoro a quattro chilometri da casa, e per quanto mi piaccia tantissimo guidare la mia macchina che fa parte degli oggetti inutili che ho comprato alla quale mi sono approcciato attivamente smontandola e rimontandola più volte, ho pensato che sarebbe una cosa buona rimettermi a pedalare. così magari ne approfitto per smetter davvero di fumare e per muovermi un po’, che ad una certa età fa solo bene. metti mai che capiti di finire a letto con una ventenne.

e allora niente, nell’ultimo mese ho comprato i pezzi che mi servivano, ho messo insieme una bici ho iniziato a pedalare. non va neanche male, pensavo peggio, pensavo di lasciarmi morire in un fosso dopo la prima salita, e invece mi sembra che tutti quegli anni di bicicletta adolescenziale a qualcosa sian serviti.

poi settimana scorsa son passato al negozio di biciclette qui davanti, mi servivano le fasce da metter sul manubrio e una pompa col manometro, mentre ero lì che aspettavo il commesso stavo gironzolando per il negozio, mi sono avvicinato a una bici da corsa in esposizione.
non una qualsiasi. una per quarantenni in crisi, tutta in carbonio e lega leggera, roba da cinquemila euro come ridere. e siccome le mani in tasca non so tenerle ho provato a sollevarla. vi è mai capitato di dover tirare su un secchio da terra, siete convinti che sia pieno e pesante e quindi nel sollevarlo ci mettete la forza che ci mettereste per sollevare un secchio pieno, poi invece non vi eravate accorti che il secchio era vuoto, e nel sollevarlo con la forza che ci avete messo ci rimanete di merda per un brevissimo istante? ecco, nel sollevare la bici per quarantenni in crisi ho provato quella sensazione lì.

ho comprato le cose che mi servivano, sono uscito dal negozio che mi sentivo un poveraccio, ho provato invidia, che ho pensato dev’esser bello aver cinquemila euro da spendere per una bici dove non serve poi sistemare nulla, è perfetta così, basta che entri in negozio, la compri con la carta di credito, te la metti sotto il culo e sei pronto per andarci in giro pedalando su una cosa che non pesa niente, senza far fatica. dev’esser proprio bello piacerebbe anche a me. poi però subito dopo ho pensato delle altre cose. che intanto a comprare una bici da cinquemila euro son capaci tutti basta avere soldi da buttare, poi non devi metterci le mani e se ce le metti rischi solo di far dei danni, vuoi mettere quanto è più bello imparare qualcosa documentarti prender pezzi vecchi sistemarli metterli insieme rompere qualcosa ricomprare i pezzi sgrassare oliare sporcarti le mani sentirti più uomo nel momento in cui hai le mani sporche avere il tempo di un mese per mettere insieme una bici pensare a quanto sarà bella quando sarà finita e poi quando sarà finita renderti conto che pesa molto più di una bici in carbonio e che magari non ti lasci morire nel fosso dopo la prima salita ma ci manca poco.

che certe volte nella vita è anche bello far fatica, sporcarsi le mani, innamorarsi degli oggetti e passarci del tempo insieme.
e fare pace con la propria infelicità.

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a fare una stronzata siam bravi tutti. a chiedere scusa invece no.

e allora é successo che ieri sera sono andato a un concerto a trieste suonava paul gilbert. magari non tutti lo sanno, paul gilbert é uno dei chitarristi più bravi del globo terracqueo, un punto di riferimento.
a questo concerto alla fine mi son ritrovato ad andarci da solo, che chi era a francoforte chi doveva tenere i figli chi non aveva soldi da spendere, ieri sera son partito con la mia macchina ad ogni incrocio mentre andavo via pensavo ma quasi quasi giro a destra torno verso casa cosa ci vado a fare da solo come un cretino fino a trieste, che l’ultimo disco di paul gilbert non mi è neanche piaciuto più di tanto, con quel che costa la benzina, quasi quasi giro a destra vado da maxvideo mi prendo un film e poi dritto a casa sul divano. poi all’ultimo incrocio utile ho pensato e va bene vado a trieste anche da solo mica bisogna aver sempre intorno qualcuno per stare bene.
e ho tirato dritto.
poi sono arrivato a trieste era già un po’ tardi ho fatto un giro veloce intorno alla via ghega a cercare un parcheggio, trieste sarà anche una bella città col suo mare e i suoi bolliti col kren, ma parcheggiar la macchina a trieste intorno alla via ghega, trieste è brutta quasi come milano. era un po’ tardi mi sono infilato dentro il parcheggio a pagamento della stazione, che è poi uno di quei parcheggi a più piani ho lasciato la macchina al secondo piano ho cercato l’uscita per tornar fuori c’era la porta che dava sulle scale l’ho aperta c’erano due zingari per terra col sacco a pelo che dormivano ho aperto la porta si son svegliati di colpo  han tirato un urlo si son spaventati mi son spaventato pure io. scusate, ho detto, e li ho scavalcati nei loro sacchi a pelo. poi scendevo le scale a metà rampa un’altra famiglia di zingari, dico zingari non lo so se eran zingari, avevan la faccia un po’ come da zingari ma magari non erano, zingari. anche loro con un materassino, delle coperte, dormivano lì. scusate, e son passato sopra anche a loro cercando di non calpestargli troppo il materasso, poi son sceso in fondo alle scale, un barbone anche lui col suo sacco a pelo, dico barbone, aveva la barba molto lunga, mi ha ha chiesto una sigaretta, non ce l’avevo. buona sera mi ha detto. buona sera anche a lei. e son venuto fuori dal parcheggio sono andato al teatro dove suonava paul gilbert, pagato il biglietto, il tempo di andare a pisciare e ha iniziato a suonare.
e niente ha suonato, io ero un po’ in fondo ad un certo punto stava suonando lì sul palco l’ho visto che si è chinato di scatto ha tirato via dalle mani qualcosa a uno del pubblico e l’ha tirato dietro le quinte con la faccia un po’ incazzata. io ero un bel po’ dietro, da lì mi era sembrato che avesse tirato via dalle mani da quello del pubblico un telefonino, per poi lanciarlo dietro le quinte.
che mi è venuto da pensare ma che cazzo fa? mica gli saran girate le balle perchè uno lo stava fotografando o riprendendo e gli ha lanciato via il telefonino? sarà la maniera? e mi sembrava strano, perchè di chitarristi bravi famosi e stronzi incagabili è piena la storia del rocchenroll, ma paul gilbert no. che non ci ho mai cenato insieme ma insomma a vederlo così da tutti gli anni che lo vedo ero proprio convinto fosse una bella persona.
ed è andato avanti a suonare un paio di pezzi e vedevo che faceva di tutto per non guardare in basso la prima fila. poi si è fermato ha parlato al microfono ha chiesto scusa. insomma ha detto guarda scusami che prima ti ho lanciato il telefonino dietro il palco, ho fatto una stronzata solo che son fatto un po’ all’antica mi piace suonare davanti a della gente e guardarla in faccia tu eri qua sotto che mi riprendevi da mezz’ora con sto cellulare piantato davanti non ne potevo più scusami, dopo te lo vado a prendere e te lo ridò, mi spiace.
poi alla fine il concerto è finito son venuto fuori dal teatro son tornato a prendere la macchina al parcheggio, per non disturbare nessuno anzichè salire dalle scale che eran piene di gente che dormiva sono venuto su dalla rampa dove salgono le macchine son ripartito.
solo, non avevo voglia di prendere l’autostrada, che da quando ho cambiato macchina ho riscoperto il piacere della guida, prendere le autostrade mi infastidisce, ero da solo era mezzanotte e mezza, non mi aspettava nessuno avevo un umore un po’ strano ho acceso il navigatore gli ho chiesto di portarmi a casa evitando le strade a pedaggio son partito.
e avevo appunto un umore un po’ così, guidavo, la radio a volume basso, pensavo ai miei pensieri, seguivo le indicazioni del navigatore ad un certo punto ero preso da questi pensieri anche non tanto belli mi son trovato fermo a un semaforo e mi sono accorto che lo conoscevo, quel semaforo.
un semaforo che non ci capitavo da degli anni, e degli anni fa a quel semaforo di latisana ci ho passato uno dei periodi più brutti della mia vita.
e niente, di trovarmi fermo a quel semaforo ieri notte verso le due del mattino, che non me l’aspettavo, mi si è schiantato il cuore.

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poi dicono l’impotenza.

non ho mai tempo per scrivere lo so mi dispiace, i lettori affezionati che venivan qui costantemente a veder cosa scrivevo, mi sa che li ho un po’ delusi, fa niente.
è che lo studio love mi sta impegnando parecchio la testa, poi ci sono delle nuove mirabolanti avventure io non so come andranno le cose, sta di fatto che la testa ce l’ho tutta concentrata qui dentro, scrivere sul blog ultimamente faccio fatica.
comunque.
c’è una cosa, volevo scriverla già settimana scorsa, poi non ho avuto il tempo, la scrivo adesso, settimana scorsa mi son fermato a dormire a pordenone dai genitori della signorina, la mattina che ci siam svegliati la signorina aveva da fare un lavoro in fiera a pordenone io dovevo tornare invece in studio le ho detto dai che ti do un passaggio fino in fiera, abbiam preso su la mia macchinina, siamo andati.
solo poi dopo andare in fiera tutto un traffico, le macchine ferme, si deve passare anche davanti la stazione dei treni per andare in fiera eravamo lì in macchina fermi in coda vicino la stazione dei treni ad un certo punto da un suv fermo davanti a noi dal lato passeggero è scesa una ragazza è partita a piedi. dopo due secondi, un’audi in coda a fianco alla mia, un’altra ragazza dal lato passeggero è scesa, è partita a piedi. dopo un attimo anche da una mercedes davanti, stessa cosa, un’altra ragazza partita. andavano in stazione, che magari perdevano il treno, ferme in coda non arrivavano più, son partite a piedi, mi è venuta su una tristezza, per quei poveri uomini piantati là in mezzo al traffico sui loro macchinoni,  mi sono immedesimato devono aver fatto tutti e tre un pensiero del tipo guarda qua con tutto quel che ho speso per comprare il macchinone non riesco neanche a portar la mia donna fino in stazione non servo a niente qui da solo in mezzo al traffico che vita infame. che io mi sono immedesimato, secondo me dentro i loro macchinoni stavano facendo questo pensiero tutti e tre, poveracci, mi dispiaceva. e ho anche detto alla signorina guarda lì, poveretti, tutti i soldi che han speso per il macchinone, non riescono neanche a portar la loro donna fino in stazione chissà come si sentono inutili. eh. poi si è smollata la coda siam ripartiti siamo andati avanti un po’, la signorina mi diceva che ore sono? siamo in ritardo? e io no tranquilla che ce la facciamo. e invece poco più avanti c’era un vigile avevan deviato la strada non si poteva più andar via dritti verso la fiera deviavano il traffico, e a far quella deviazione si doveva poi fare un giro più lungo per arrivare in fiera, con la signorina ci siam guardati, mi ha detto eh fermati qua che scendo, vado giù a piedi, se non non arrivo più. mi ha dato un bacio è scesa, è partita a piedi.


game over.

allora niente, è successo che dei mesi fa mi son lasciato con una morosa molto importante, c’è stato tanto dolore, degli strascichi, la vita certe volte è cattiva.
e in questi mesi non è che son stato sempre a casa a guardare la televisione. ogni tanto son stato in giro a fare dei disastri. e a far dei disastri ci son state delle volte in cui ho portato occasionalmente a casa delle altre signorine.
di mio, nella vita, ho da sempre questa sensazione di dover rivivere ciclicamente le stesse cose, di dover ogni volta ripartire daccapo cercare di non fare di nuovo gli stessi sbagli per riuscire a passare al livello successivo. avevo scritto una roba del genere tanto tempo fa qui. che mi sembra di vivere in un videogioco e non si arriva mai alla fine.
non è una sensazione che mi piace. in genere faccio il possibile per convincermi invece del contrario. che sia sempre tutto nuovo, che non mi tocchi dover ripetere sempre le stesse cose.
solo che poi mi remano contro.
e infatti dicevo, queste signorine che occasionalmente sono entrate in casa mia han tutte detto questa frase, con piccole varianti sul tema, ma sempre la stessa.
ah, ma guarda che casa pulita, guadagni punti!
oppure
ma sai anche cucinare? che bravo, guadagni punti!
oppure
e questa? è la tua moto? che bella, stai proprio guadagnando punti.

ecco, volevo dire, e l’ho detto anche alle signorine ogni volta che se ne uscivano con queste frasi, guarda che vorrei semplicemente scopare, non giocare a tetris e tirar su dei punti.


catarsi.

e poi subito dopo mi son detto che cazzo me ne frega. e che cazzo me ne deve fregare di qualsiasi cosa. e infatti a me ormai non me ne frega un cazzo, e uno che ha raggiunto una certa età, nel bene e nel male, la cosa che gli interessa di più è di stare in pace e di non avere continuamente delle rotture di coglioni, poter fumare delle sigarette in pace o cose simili e così via.


esserci, non esserci.

il problema del lavoro che faccio è che devo metterci la testa. aver voglia. sempre.

allora ci son dei giorni che son quelli come oggi che vorrei poter chiudere tutto, dire va bene, ci pensiamo poi domani, se domani mi va.

e invece c’è della gente da vedere, c’è da andare in giro a vendermi, metter su il sorriso commerciale, dire delle cose brillanti, fare delle fotografie fatte bene, vedere poi altra gente, tenere dei corsi, spiegare delle cose, programmarne delle altre, far delle telefonate, guadagnare dei soldi per pagare le bollette.

non posso, chiudere tutto e dire va bene, vado a dormire. i clienti, riposatevi ci vediam domani non pensate a me. la macchina fotografica, dormi anche tu. i corsisti, ciao passate una buona notte. il telefono, dormi e non suonare fino a domani. le bollette, ciao.

e allora, cosa devo fare, tiro via dritto. che da fuori son bravo la differenza non la vede nessuno.


03.45, redenzione.

sono le tre e mezzo del mattino, non riesco a dormire, scrivo.
non riesco a dormire perchè oggi sono stato tutto il giorno a udine a prender su un lavoro, a parlare con delle agenzie, son partito da casa questa mattina alle nove, alle nove e mezzo mi hanno tamponato la macchina in un incrocio. che han fatto sembrare che era colpa mia, poi a pensarci bene colpa mia non era, domani mattina mi tocca tornare lì a litigare. queste cose, quando succedono, io poi non ci dormo la notte.

andare a udine oggi non ero da solo, c’era con me la mia account. sarebbe, l’account, per chi non ha dimestichezza, la persona che mi tiene poi i rapporti con le agenzie, che mi trova i lavori. chiamatela agente, chiamatela manager, chiamatela commerciale, account. e con la mia account collaboriamo da pochi mesi non ci conosciamo benissimo, siam lì che ci annusiamo. oggi, delle ore in macchina insieme un po’ abbiam parlato. ad un certo punto mi dice dovresti fare la fan page su facebook.
se non sapete fan page cosa vuol dire andate a cercare su wikipedia non è che posso spiegarvi sempre tutto io.
beh, le dico, non sono un artista di fama internazionale, che devo fare la fan page, e poi di fan mica ne ho, chi vuoi che si iscriva alla mia fan page, che sono uno stronzo, comunque se credi, se pensi sia utile, hai campo libero puoi mettere in piedi la mia fan page su facebook la gestisci poi tu.

ecco, appunto, lo sai cosa mi dicono certe persone quando vengono a sapere che sto lavorando con te?
cosa ti dicono?
dicono ma come fai a lavorare con tushio che è uno stronzo?
ma dai. e chi è che ti dice che sono uno stronzo?
questo non lo saprai mai.

che poi le ho detto dopo un po’, ma come fa la gente a dir che sono uno stronzo, ho fatto anche il sito del blog tutto rosa, non fa tenerezza?

eh, non basta, mi ha detto lei.

ci son rimasto male, fossi stato in lei avrei avuto una risposta migliore, avrei risposto che gli stronzi, anche a volerli pitturar di rosa, poi restano comunque quel che sono, degli stronzi pitturati di rosa.

ma va bene lo stesso, non è che poteva essere perfetta, la mia account, aver certe risposte pronte.

ad ogni modo, a voler tirare le somme, alcune considerazioni le posso anche fare.
una è che alla gente potrò anche stare sulle scatole, però qui sul blog ci son le statistiche delle visite, ogni giorno ci sono centinaia di persone che vengono a vedere cosa ho da scrivere cosa ho da fotografare. tre giorni fa, per dire, settecentoottantacinque visite documentate in un giorno, record.

e questa cosa volevo dirla solo per il piacere di dirla, non sapevo bene dove infilarla, l’ho infilata qui. volevo anche dire che quando vedo tutte queste visite al mio blog, mi vien difficile fare il superiore, far finta che è normale, per me non è normale che settecentoottantacinque persone al giorno vengano a veder cosa ho da scrivere, cosa ho da fotografare. no so dire se è una cosa bella o una cosa brutta, di certo l’ego un po’ me lo accarezza. quindi insomma volevo dire settecentoottantacinque, l’ho detto adesso. chissà poi se lo pensano tutti e settecentoottantacinque, che sono uno stronzo, il contatore delle visite questa informazione non la rileva.

poi c’è da dire anche un’altra cosa, così poi la sappiamo tutti e non stiamo più a nasconderci dietro al dito. se ho l’atteggiamento da stronzo non è perchè sono uno stronzo vero. è tutta una finta. mi serve per fare delle cose. la prima cosa, mi serve per tenere lontane le persone superficiali. quelli che mi vedono, mi parlano per cinque minuti e stabiliscono che sono uno stronzo, ecco quelle persone lì non mi interessa frequentarle. che i superficiali, se posso fare a meno di frequentarli, faccio a meno volentieri.
quelle persone invece che poi han voglia di capire il perchè e il percome, ecco, quelle son le persone che mi interessano.
poi mi è servito per arrivare fin qui. provate voi ad andar via di casa a diciannove anni e cominciare a cavarvela da soli facendo gli emozionali coi cuoricini. vi si mangiano vivi dopo dieci minuti. non mi sto vantando del fatto che sono andato via di casa a diciannove anni, sto solo dicendo che se ci provate, a cavarvela da soli emozionali coi cuoricini, vi si mangiano vivi per davvero, non scherzo.
e poi mi serve per fare il lavoro che faccio. lo so che qui intorno c’è pieno di gente che quando pensa alla fotografia pensa a un mondo fatto di tramonti, di pontili sul mare, di ritratti, di sperimentazione, di discussioni interminabili sui forum per stabilire una volta per tutte se la linea dell’orizzonte si deve tenerla storta o dritta, per litigare su quanta luce del flash assorbe un ombrellino. ecco, per me che mi ci guadagno da vivere da quattordici anni la fotografia è un’altra cosa. è amore e odio. e voglia di fare foto della madonna e litigare con le agenzie perchè i mei scatti devono costare cinque euro in più o in meno, è vivere nella speranza che settimana prossima mi firmino un preventivo per fotografare duecentocinquanta pezzi di carne del macellaio. è svegliarmi certe mattine con la voglia di andare a fotografare in bianco e nero su per le montagne, e altre mattine con la voglia di prender le macchine fotografiche spaccarle contro il muro e andare a cercare un altro lavoro, andare a lavorare nei campi.
il muso da stronzo viene puoi fuori da solo, non serve sforzarsi più di tanto.

due settimane fa mi han proposto di fare una mostra. sono più di dieci anni che non faccio una mostra con le mie fotografie, me lo han proposto tante volte dico sempre no grazie. perchè no? perchè secondo me le mostre fotografiche in italia sono una forma di masturbazione, e già pratico a sufficienza a casa.
rispondo così, in realtà penso un’altra cosa. la stessa cosa che ho pensato quando mi han proposto di fare questa mostra: sto sul culo a troppe persone, c’è il caso concreto che all’inaugurazione non viene nessuno ci troviamo lì in quattro io e gli organizzatori.

poi alla fine mi hanno convinto, si fa.
alla loggia del museo del cenedese a vittorio veneto, l’inaugurazione è sabato prossimo alle cinque del pomeriggio, vi aspetto lì.

 


e poi mi sono rotto il cazzo.

sono andato a teatro ieri sera, mi son seduto è iniziato lo spettacolo, hanno aperto il sipario è arrivato il freddo. che in platea si stava bene al caldino, appena si è aperto il sipario si vede che il palco non è riscaldato, tutto il freddo che c’era sul palco ci è venuto addosso, una ventata. e poi le vecchie maledette. che sono abituate a stare a casa a guardare la televisione a commentare ad alta voce coi mariti, e questa intuizione è di alce non mia, e allora si sentono in dovere di commentare ad alta voce tutto quel che succede sul palco. ma non hanno freddo a piedi nudi? cosa ha detto? è finito?
e poi i cellulari con la vibrazione che suonano per minuti interi, e le bestemmie. e poi ho iniziato a contare i colpi di tosse del pubblico ho smesso di contare dopo i primi cento. e poi guardavo le cose, i pannelli sul soffitto e sui lati del teatro angolati per riflettere tutta la voce che arriva dal palco verso il pubblico, le luci, come le avevan posizionate, quanto poco spazio c’è per le gambe sulle poltrone del teatro da ponte, quando mi sono alzato alla fine un mal di schiena. e poi guardavo come appoggiava i piedi la protagonista quando camminava, ad ogni passo le dita andavano ad appoggiarsi a terra a ventaglio, dal dito piccolo all’alluce.
e poi lo spettacolo finiva, finivano gli applausi, e poi quando sembrava che era finito tutto davvero si è affacciato l’assessore dalle quinte, e il pubblico a far l’applauso all’assessore, così per ridere. e viva il parroco ha detto alce. ma l’intuizione di viva il parroco è mia, mi stava citando.
e poi siamo andati a bere delle birre.
e poi sono andato a dormire.


cominciamo bene.

la prima morosa che limonavamo l’ho avuta in terza media.
ne ho avute anche prima, ma non limonavamo non le ho mai considerate vere morose quindi la prima morosa vera è stata lei.
abitava un po’ lontano e non uscivamo insieme però al sabato andavo a prenderla a scuola poi andavamo alla stazione delle corriere aspettavamo che arrivasse la sua. stavamo in disparte. limonavamo, appunto. odorava sempre un po’ di sudore. era estate, lei al sabato aveva l’ora di educazione fisica.
erano gli anni novanta era il periodo che non lo so se si usa ancora, che è da un po’ che non frequento ragazze delle medie, che avevamo il diario e il diario andava riempito di cagate. tipo le dediche.

come la barca lascia la scia io ti lascio la firma mia, per esempio.

e allora, niente, un sabato che eravamo lì a limonare mi ha chiesto se le davo il mio diario, così mi faceva le dediche. gliel’ho dato, me lo ha restituito la settimana dopo.
quando poi son tornato a casa mi son messo a sfogliare il mio diario, a veder che dediche mi aveva scritto, ho trovato due pagine con delle chiazze di bianchetto. non lo so come si chiama tecnicamente, c’erano questi barattolini col tappo e il pennellino pieni di una vernice bianca, serviva per passare il bianco sugli errori quando si scriveva a biro, passavi il bianco poi quando si asciugava ci potevi scrivere sopra. e non lo so se questi strumenti tecnologici allora molto in voga si usano ancora oggi, nelle scuole.
mi è venuta la curiosità di vedere cosa aveva dovuto correggere di così grosso, eran delle chiazze di bianchetto belle grandi, pensavo delle dediche che non le eran venute molto bene. e allora cosa ho fatto, mi son messo in controluce davanti a una finestra son riuscito a vedere cosa c’era sotto il bianchetto, due note.

le note sul diario non lo so se si usano ancora oggi, nel sistema scolastico, le note son quando il professore gli girano i cinque minuti ti scrive sul diario che non hai fatto i compiti, o che disturbi in classe, quelle cose lì, e poi devi farle firmare ai genitori.

insomma, quella settimana la mia morosa aveva preso due note, se le era fatte scrivere sul mio diario, poi le aveva cancellate per non far brutta figura.

ci son rimasto malissimo, che mi son sentito usato, la settimana dopo l’ho lasciata.
ed è stato con la mia prima morosa che mi è venuto il sospetto che da lì in avanti con le donne sarebbe stato sempre tutto un gran casino.


gli sfizi bisogna levarseli tutti, son fatti apposta.

quando scrivo di fotografia a me sembra di ammorbare le persone con le mie tiritere, poi guardo le statistiche, che io qui dentro posso vedere quante visite ci sono ogni giorno, c’è pieno di gente.

e allora, cosa volete che vi dica, parliamo di fotografia.

è successo che mi sono emozionato. non in quella maniera becera che vedo spesso in giro. sembra che per fare delle fotografie si debba per forza contornarsi di un’aura da nerd romantici. così poi magari si tira su più figa. forse. non lo so, se lo fanno per tirare su più figa. io tutte le robe che ho fatto nella vita, la componente del tirar su figa è sempre stata molto forte. tipo suonare la chitarra, fare il giornalista, fare il fotografo, andare in giro con la moto, son tutte cose che ho sempre fatto soprattutto perchè mi piace farle, e poi anche perchè a farle si tira su più figa che a non farle.

però ho sempre cercato di mantenere un po’ di contegno. nel senso, nessuno mi ha mai sentito dire cose come vado in giro in moto perchè il brivido della follia che mi pervade inseguendo il sole che tramonta mi fa sentire vivo, o che fotografo perchè in quell’istante tocco l’anima di chi sto fotografando perdendomi con lei in un universo turbinante fatto di emozione, luce e gaiezza.

e mica per fare il vero maschio, che chi mi conosce bene sa che sotto questo fisico martoriato dalla vita batte un cuore insicuro e tremolante. semplicemente perchè non mi sono mai sentito in dovere di decorare le cose che faccio per farle sembrare più profonde di quel che sono. vale a dire già belle così senza bisogno di aggiungere fronzoli fatti di aggettivi messi a caso e buoni sentimenti.

e quindi, questa volta che voglio raccontare del fatto che mi sono emozionato, mi tocca fare tutto questo preambolo per non rischiare di fare la figura di quello che vuole far sembrare che tocca le anime e poi si perde negli universi turbinanti pieni di emozione.

ho iniziato a fotografare quando c’era la pellicola, avevo vent’anni, ne son passati quattordici, ho comprato una macchina fotografica russa poi mi sono appassionato alla fine avevo un corredo di cinque corpi macchina, obiettivi, accessori, due borsoni pieni di roba, andavo a fotografare matrimoni.
poi ho preso a lavorare negli studi fotografici pubblicitari importanti, negli studi usi le attrezzature dello studio, le mie macchine fotografiche son rimaste ferme nell’armadio per degli anni. anche perchè quando fotografi otto ore al giorno cinque giorni su sette per lavoro, il finesettimana la voglia di andare a fare foto per gli affari tuoi non ti sfiora. men che meno durante le vacanze. poi è arrivato il digitale, ho venduto tutte le mie vecchie macchine fotografiche a pellicola quando ancora valevano qualcosa.

quest’anno ho smesso di lavorare per gli studi fotografici degli altri, ho aperto il mio studio, ormai lo sanno anche i sassi, ho tutte le mie attrezzature digitali professionali, tra una cosa e l’altra mi ha preso un po’ di nostalgia per la pellicola, ho messo insieme un po’ di gente stiamo allestendo una camera oscura dentro il mio studio per fare sviluppo e stampa in bianco e nero, non pensiate che racconto questa cosa per fare pubblicità, si tratta di un’associazione di persone senza scopi di lucro. e cosa è successo, che se volevo rimettermi a fare qualche foto in pellicola bianco e nero mi serviva una macchina fotografica analogica, le mie le avevo vendute tutte anni fa. sono andato su ebay, ho fatto acquisti, è arrivata ieri. è una macchina fotografica che quando avevo vent’anni me la sognavo di notte, costava troppo. a quei tempi ne avevo due del modello appena inferiore, che costavano usate un milione, più o meno. questa costava ancora di più, mi sarebbe piaciuto averla, ma non ne valeva la pena, le mie andavano benissimo, era uno sfizio che non potevo levarmi.

beh, l’ho comprata. quaranta euro più spedizione.
è arrivata ieri, mi sono emozionato.


il problema è che tra questi c’è anche della gente a cui voglio del bene.

son partito con lo studio nuovo e anche se non ho scelto un momento storico propizio all’apertura di una nuova attività sta andando bene.

sono un po’ incarognito perchè quasi tutte le volte che i clienti mi chiedono dei preventivi poi mi sento dire che chiedo troppi soldi mentre invece a me sembra che sto chiedendo i soldi giusti e poi mi sento anche dire guarda che fotografi come te ne arrivano due a settimana certo magari non bravi come te ma chiedono meno e quindi i prezzi si abbassano per tutti.

e ad andare avanti così per dei mesi io ve lo assicuro le manie di persecuzione vengono a chiunque.

ora, lasciamo per un attimo perdere certi colleghi fotografi professionisti, quelli meno bravi di me, che vanno in giro con le braghe calate pur di lavorare, poi con loro me al vedo io, non preoccupatevi prima o poi chiuderanno bottega sommersi dai debiti e dalle loro orribili foto.

vorrei analizzare per un attimo un’altra problematica. c’è in giro un sacco di gente che fa il suo bel lavoro stipendiato che con la fotografia non c’entra nulla, un lavoro normale qualsiasi, o che sta a casa mantenuto da mamma e papà, o quel che è, che va in giro a far lavoretti. reportage, ritratti, matrimoni, fotografie per le agenzie pubblicitarie addirittura. gente brava a fotografare, mica per forza dei brocchi. gente che si è sbattuta per imparare a far delle foto come si deve e a forza di provarci i risultati si vedono anche.

solo, c’è un fatto, non è che esser bravi a fotografare sia sufficiente per poter dire di essere fotografi.

è successo che da alcuni anni si sta un pochino abusando della parola fotografo. si dovrebbe dire fotografo come si dice avvocato, chirurgo, professore di fisica quantistica, panettiere, netturbino, idraulico, cuoco.  il fotografo in quanto tale, anche se può sembrare fastidioso, è una figura professionale.

mi spiego, potete leggere tantissimi libri di anatomia, potete comprare anche delle attrezzature costose, tipo un camice verde, bisturi, ago e filo, potete fare anche molta pratica nella cantina di casa vostra, ma questo non farà di voi dei chirurghi. va da sè che se avete comprato una macchina fotografica da qualsiasimila euro, questo non basta a fare di voi dei fotografi. anche se le vostre fotografie sono belle e piacciono a tutti. ieri sera, vi faccio altri esempi così capite, ho detto una cosa molto intelligente e profonda mentre bevevo delle birre al bar, e la gente al tavolo ha molto apprezzato il mio pensiero. ma continuo a non essere un filosofo.

mi avvio a concludere, se no poi sembra solo il lamento di un pazzo. se volete fare i fotografi, se volete dire che siete dei fotografi, se volete farvi pagare dei soldini per le vostre fotografie, nessuno ve lo impedisce. a me personalmete fa anche piacere confrontarmi con dei colleghi bravi, mi stimola a fare sempre meglio. solo, abbiate la dignità e il coraggio di lasciare il vostro lavoro fisso con lo stipendio fisso, la tredicesima, le ferie pagate, le malattie pagate ed entrate a piedi pari nel grande mondo della fotografia professionale. che è fatto di attrezzature da comprare e da aggiornare e da riparare quando si rompono, di studi fotografici da allestire, di affitti, di mutui, di leasing, di fatture, di partite iva, di pagamenti a novanta giorni, di dichiarazioni dei redditi, di studi di settore, di tasse da pagare, di anticipi inps, di arrivare a fine mese coi soldini guadagnati fotografando. e poi voglio vedere se i soldini che chiederete per fare i vostri lavoretti cominceranno ad essere un po’ di più, non la miseria che chiedete adesso pur di togliervi lo sfizio di dire a voi stessi che siete fotografi.

se non ve la sentite, posso capirlo. continuate a godervi la tredicesima e usate la vostra attrezzatura per scattare tutte le fotografie che volete, ma vi prego non mettetevi a venderle. e fatevi entrare in testa che non c’è nulla di vergognoso nel definirvi fotoamatori.

grazie.