ashes.
ci avete fatto caso, vero, che questo pur essendo il blog di un fotografo è un posto dove di fotografia si parla molto raramente. che una volta questo sito dove siete adesso si chiamava tushio.com ed era normale che si parlasse dei cavoli miei in generale. ora da un po’ di tempo si chiama sposilove.com quando gli ho cambiato nome ci si aspettava una svolta epocale, una concentrazione grande sulla faccenda delle foto di cerimonia, dei post tematici per attirare i futuri sposi sui miei servigi.
e invece non è successo, ho continuato a raccontare i cavoli miei in generale, parlando della fotografia solo quando non potevo farne a meno.
la cosa, tra l’altro, funziona anche. nel senso che il giochino del fotografo pubblicitario che i matrimoni li fa solo ogni tanto, e sul suo blog parla dei cavoli suoi senza far l’invasato dell’emozione matrimoniale, è un giochino che piace ha il suo riscontro. e infatti di matrimoni ne faccio pochissimi, esattamente quanti ne vorrei fare, e le richieste mi arrivano sempre da delle personcine a modo, mi piace.
e allora, volevo raccontare, pur parlando qui molto raramente di fotografia, non è che della fotografia mi interessi poco. ieri per esempio siamo andati a pordenone a vedere una mostra. che in realtà volevamo vederne due, volevamo andare a villa manin a codroipo a veder la mostra di man ray e poi andare a pordenone a vedere quella di pierpaolo mittica. poi invece dopo pranzo abbiam fatto un pisolino che eravam stanchi, si è fatto tardi. man ray andremo a vederlo la prossima volta, siamo andati a vedere solo la mostra di pierpaolo mittica.
di questo fotografo pierpalo mittica non sapevo grandi cose. me ne parlava una mia amica collega fotografa, la silvia, anni fa, che mi diceva cose molto belle su di lui, mi diceva che è un fotoreporter molto bravo. poi io purtroppo non avevo mai approfondito, ma insomma nella testa mi era rimasto questo nome di questo fotografo. e quando recentemente ho visto pordenone tappezzata dei manifesti che annunciavano l’imminente mostra con le sue foto ho pensato che era la volta buona che andavo a vederle le foto di questo fotografo pordenonese.
quando ho iniziato a fotografare avevo vent’anni volevo fare il fotoreporter, da grande. ho iniziato a fare questo mestiere perchè volevo prendere e andare nei posti brutti del mondo a fotografare per raccontare quello che succede. non avevo niente da perdere non avevo una casa non avevo un’auto, non avevo un cane, con la morosa ci si lasciava ogni due tre giorni, da casa dei miei sono andato via che avevo diciannove anni. di cose da perdere, qui, non ne avevo nemmeno una, quello che desideravo fare era mollare tutto e partire per il mondo a fotografare schivando pallottole con la scritta press fatta col nastro adesivo sulla schiena del gilet. voi magari non lo sapete, non avete visto i film giusti non siete mai stati in guerra, i fotoreporter nelle situazioni di merda quando la gente spara prendono il nastro adesivo colorato e scrivono la parola press, stampa, sulla schiena del gilet, o della giacca, insomma sulla schiena. che così, forse, il cecchino di turno si mette una mano sul cuore e non li ammazza.
e quando ho iniziato a fotografare, era il millenovecentonovantotto, per tre anni di fila prendevo la moto, andavo nei balcani, era appena finita la guerra in bosnia, andavo in bosnia andavo in kosovo facevo le fotografie per raccontare come si stava in un paese dove era appena finita la guerra. quelle fotografie me le han poi pubblicate, ho fatto anche delle mostre, le ho stampate per bene sono andato a fare il giro delle agenzie fotografiche milanesi, ma non c’è stato mica verso di mollare tutto e farmi mandare a fare le fotografie nei posti dove ti sparano addosso. che le agenzie le foto di quei posti lì le compravano già a quei tempi, che era già arrivato internet a spaccare i maroni, le compravano dai fotografi locali. mica mandavano l’italiano a farsi ammazzare. e per andare invece a fare i reportage nei posti di merda dove magari non ti sparava nessuno, ma dove c’era da raccontare le cose brutte che succedono, cosa ne so, in india, in russia, in cina, in quei posti dove servirebbe che qualcuno andasse a far delle foto per far sapere alla gente che sta qui qual è il prezzo per il loro benessere, mi spiegavano le agenzie che per andare in quei posti lì a fotografare ci dovevi andare a spese tue. mica ti stipendia nessuno per fare i reportage. decidi che vuoi andare nelle miniere di diamanti africane per far sapere alle fidanzate italiane che i diamanti che si fanno regalare arrivano tutti, ho detto tutti, sì, dalla schiavitù? bravo. tiri su in qualche modo i soldini che ti servono ti paghi il viaggio vai, cerchi di non farti ammazzare ti mantieni per le settimane, per i mesi che servono per trovare i contatti conoscer le persone giuste riuscire ad entrare nelle miniere fotografare gli schiavi che estraggono i diamanti poi torni qua sviluppi i rullini e ti metti a fare il giro delle agenzie e delle case editrici sperando di trovare qualcuno interessato a comprare le foto che hai fatto. poi con quei soldi che guadagni, se te li danno, un po’ li usi per pagare le bollette e l’affitto, un po’ li usi per organizzare il prossimo viaggio, il prossimo reportage fotografico.
a vent’anni ricco non ero, soldi da parte non ne avevo, la capacità per trovare dei finanziatori neanche, avevo si e no i soldi per comprarmi le macchine fotografiche, non ce l’ho mica fatta a fare il fotoreporter. poi la vita ha fatto il resto. ho fatto sì il mestiere che volevo fare, con delle soddisfazioni anche grandissime certe volte, ho aperto uno studio fotografico mio dove son contento di arrivare ogni mattina, ho una casa col giardino, ho un cane, ho un’auto bellissima, una bici, una morosa che speriamo vada tutto come deve andare, degli amici intorno a cui voglio un bene dell’anima e son molto contento. però non ho fatto il fotoreporter.
ieri, dicevo, siamo andati a vedere la mostra di pierpaolo mittica. e tra tutti i sentimenti che si potevano provare a una mostra di fotografie di reportage, io ho provato ieri quello che odio più di tutti. che è il sentimento dell’invidia.
una cosa che non sopporto, nella vita, è invidiare gli altri. e quando mi accorgo che sto invidiando qualcuno, mi sale un dolore così grande, vorrei sparire dal mondo. mi vergogno. perché con il culo gigantesco che mi son fatto per arrivare fin qui, per le cose belle che mi son capitate, e anche per le cose brutte, io vorrei tanto essere sereno così come sono, senza dover provare invidia per nessuno. per fortuna è una cosa che mi succede molto raramente.
fotografi di reportage nella vita sono andato a vederne tanti, le loro mostre. e se ho cominciato a fotografare lo devo a cartier bresson, essenzialmente. solo che mica ho mai provato invidia per cartier bresson, per sebastiao salgado, per robert capa, per quegli altri mostri sacri nel mondo della fotografia, son persone talmente lontane con vite così diverse. non posso mica fare il paragone per riuscire a provare invidia.
e invece, le foto di pierpaolo mittica, sono divise in sezioni, dei posti che ha girato in vent’anni di lavoro, la prima sezione proprio le prime foto che vedi appena cominci il giro della mostra son le foto che ha fatto in bosnia e in kosovo, nel millenovecentonovantasette. è partito da lì, gli stessi posti dove son stato io un anno dopo. e pierpaolo mittica non è mica tanto più vecchio di me. lui è del settantuno, io del settantotto. di lui non so niente, della sua vita, della sua storia, di come gli è andata, se aveva dei finanziatori, se era ricco di famiglia, se era povero, però mentre guardavo le sue foto fatte in bosnia e in kosovo ho pensato che anche lui in qualche modo ha cominciato da lì, che quando c’è stata la guerra lui è partito, giovane più meno come lo ero io, con la sua macchina fotografica, che non lo conosceva nessuno e con la voglia di fare da grande il fotoreporter. poi, ho immaginato, è tornato con le fotografie e si deve esser fatto il giro delle agenzie fotografiche e delle case editrici per trovare qualcuno che gliele comprasse e pubblicasse. e poi un po’ alla volta è andato avanti ce l’ha fatta è diventato un fotoreporter, vive facendo proprio quel mestiere lì. non ha dovuto ripiegare su altre cose pur di poter dire che faceva il fotografo. è stato bravo. molto bravo. e io a guardare le sue foto ieri ho provato quel sentimento che odio, l’invidia.
la mostra è bellissima. l’ingresso costa tre euro. se siete dei fotografi, o anche se siete quelli che gli piace di pensare di essere dei fotografi, andate a vedere a cosa serve questo mestiere. che serve a raccontare. e se anche non ve ne frega una mazza della fotografia in generale, potrebbe comunque farvi bene vedere cosa succede in giro nel mondo mentre stiamo qui a goderci l’agio in cui ci è capitato per caso di nascere.