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tu pensa il telaista.

son stato a bergamo lo scorso fine settimana, c’era in giro un disastro di gente che han riaperto l’accademia carrara.

sarebbe, l’accademia carrara, per i non bergamaschi, un bel posto pieno di opere d’arte. han fatto dei restauri è stata chiusa per credo degli anni, non so per quanto tempo di preciso perchè a bergamo non ci vivo da tanto non sono molto aggiornato sulle cronache locali dovrei documentarmi meglio ma il tempo a disposizione è sempre quel che è.

e niente, han riaperto l’accademia carrara per l’inaugurazione si entrava gratis lo scorso fine settimana c’era tutto un movimento di appassionati d’arte.

e mi è venuto in mente che quando a bergamo ci vivevo, per un po’ di tempo ho fatto il giornalista, scrivevo per una testata nazionale una volta mi avevano chiamato all’accademia carrara perchè avevano lì un taglio di fontana che era stato dedicato dall’autore lucio fontana al famoso ciclista felice gimondi, dovevo scrivere un articolo per il giornale.

ora, devo dire, comincio ad aver qualche dubbio sulla veridicità di questo racconto perchè mi ricordo che dietro al quadro di fontana c’era la dedica a gimondi, sono andato adesso su internet a cercare questa dedica ma non trovo nessuna notizia che metta insieme lucio fontana e felice gimondi, forse tutta questa storia me la sto inventando di sana pianta, e può essere che l’opera non era di fontana o il ciclista non era gimondi, chi lo sa.

comunque io mi ricordo così, che mi han chiamato, sono andato e c’era questo evento per cui mettevano in mostra all’accademia carrara un taglio di fontana dedicato a gimondi ed era presente all’evento felice gimondi in persona all’epoca sessantenne, se poi era lui e io mi ricordo bene la storia. grande assente lucio fontana aimè deceduto a comabbio il sette settembre millenovecentosessantotto. e io sto parlando di un evento avvenuto, sempre se non mi sto inventando tutto, nel duemilaeuno.

insomma, c’era questo evento con rinfresco a seguire e il direttore dell’accademia tutto orgoglioso presentava l’opera di fontana in presenza di gimondi. che io non è che lo conosca personalmente, felice gimondi, però me lo immagino molto ciclista. un po’ come dire molto calciatore, se vogliam capire cosa intendo.

infatti mi ricordo che era lì attonito, che presenziava all’evento e aveva la faccia di quello che si è perso al supermercato.

e quando ad un certo punto il direttore dell’accademia ha ceduto la parola a gimondi chiedendogli di dire due parole, io adesso son passati degli anni, non ricordo assolutamente cosa ha detto gimondi, ricordo che ha detto qualcosa di imbarazzato, il succo era mah, sì, io non me ne intendo molto di arte comunque son molto orgoglioso che fontana mi abbia dedicato quest’opera.

oggi mi è tornato in mente questo evento che ha avuto luogo ormai quindici anni fa e non sono nemmeno sicuro che si trattasse di fontana e di gimondi però mi son detto sarebbe stato bello se gimondi quando gli chiedevano di dire qualcosa prendeva il microfono e con la sua praticità da ciclista, da uomo votato alla fatica del corpo e non all’arte, diceva beh, pensa il suo telaista, di fontana.

come? gli avrebbe chiesto il direttore dell’accademia carrara.

no, dico, quello che a fontana gli preparava i telai, le tele, con il legno e la tela.

e allora?

eh, dico, poveraccio, secondo me mica gli stava dietro, a fontana, avrà dovuto lavorare come un matto, non faceva in tempo a preparargli le tele e a consegnargliele che già fontana le aveva trasformate tutte in opere d’arte, era velocissimo.

master

ne vale la pena.

settimana scorsa ero a prove con quelli del gruppo in cui suono e si parlava di cene di pesce, prima di cominciare a suonare, mirko raccontava di questo ristorante dove va ogni tanto a eraclea, diceva che ci si mangia bene ti portano un mucchio di antipasti si spende un sacco di soldi ma ne val la pena. e infatti mi son segnato subito il nome e già sabato ero lì che dicevo alla signorina cosa ne pensi se questa sera che piove non c’è niente da fare tu e io prendiamo e andiamo in un posto a mangiare a eraclea che si mangia il pesce come dio comanda non ci son mai stato ma me lo ha consigliato mirko e mi fido?

a eraclea? perfetto, così visto che siam di strada possiam passare un attimo in un centro commerciale lì a noventa c’è un negozio non mi ricordo già più come si chiama distrazione tessile una cosa così andiamo a veder se trovo delle scarpe.

e visto che ormai nella testa avevo già gli antipasti di pesce che giravano ho detto di sì che ci andavo volentieri, in questo centro commerciale al sabato pomeriggio a cercare delle scarpe prima di andare a mangiare pesce.

poi mentre eravamo in macchina mi son reso conto che effettivamente ci stavamo dirigendo verso un centro commerciale al sabato pomeriggio. che è una cosa che io normalmente nella mia vita non la farei mai. stavo per scrivere una di quelle iperboli per sottolineare che io non ci andrei mai e poi mai in un centro commerciale il sabato pomeriggio a cercare delle scarpe, nemmeno sotto tortura nemmeno se torturassero dei miei parenti, ma poi ho pensato che non ce n’era il bisogno e infatti vi basti sapere che io, in un centro commerciale al sabato pomeriggio, mai.

e sempre mentre ero in macchina ho pensato che in fondo non me ne fregava poi più di tanto di ritrovarmi da lì a poco in un centro commerciale al sabato pomeriggio. intanto perchè era già tardino non c’era il rischio di passarci il pomeriggio intero, e poi perchè c’è un fatto da non sottovalutare, che io con la signorina quando faccio delle cose, ci ho proprio fatto caso, mi diverto sempre moltissimo.

siamo arrivati, siamo entrati. e questo negozio molto grande che io adesso non son più sicuro di come si chiama, manifestazione tessile una cosa così, ho dovuto prender atto immediatamente del fatto che è un negozio che vende cose solo per le donne, per i maschi non c’è niente. poi, ho visto anche appena sono entrato, c’erano molte donne alla ricerca del capo d’abbigliamento, dell’accessorio, della borsa, della scarpa perfetta. poi ancora, ho visto che c’erano parecchi uomini accompagnanti le donne di cui sopra.

io lo so che sto trattando un tema trito e ritrito, quello dei maschi al centro commerciale con le morose. ma non essendoci mai stato io prima, era la prima volta che li vedevo. è un po’ come aver visto un sacco di documentari sugli animali preistorici, poi non è mica la stessa cosa quando ti ritrovi un bel giorno di fronte a un triceratopo vivo.

e insomma, poveretti, questi uomini, si annoiavano. c’erano quelli che gironzolavano da soli ciondolanti in attesa della fine, quelli seduti su delle seggiole credo posizionate appositamente negli angoli che fingevano di interessarsi alle scelte della loro signora, quelli fermi in piedi con lo sguardo perso nel vuoto come dei palloncini legati a una staccionata, quelli seduti su un divanetto appartato in zona macchinetta del caffè con quotidiano o ipad.

una cosa straziante, a guardarli. io, sarà che ero alla prima esperienza, stavo bene. secondo me, ho pensato, magari eran partiti come me anche quegli altri la prima volta che son capitati in un centro commerciale al sabato pomeriggio, stavano bene. poi, col passare del tempo son diventati così, girovaganti, seduti, fiaccati dalla vita e dallo shopping.

siamo andati a veder le scarpe, con la signorina. l’ho aiutata a scegliere. che sull’abbigliamento mi sono accorto in questi mesi che ogni tanto abbiam gusti simili, ogni tanto invece siamo molto divergenti. abbiam questo modo colorito di affrontare la moda fatto di mmmh no dai con queste scarpe sembri una battona e uuuuh prova queste prova queste prova queste guarda che belle ce le aveva uguali una in un film porno che ho visto tempo fa. e insomma, si stava proprio bene abbiam riso molto. poi finito con le scarpe ha detto bene prendo queste e l’ho portata nel reparto cappotti che ne avevo visto uno verde secondo me le stava bene.

gira di qua, gira di là, intanto non potevo smettere di guardare questi altri uomini che aspettavano la fine un po’ mi facevan ridere, un po’ pensavo chissà se mi capiterà di diventare uno di loro. e ad un certo punto è partita la voce dell’interfono diceva signore e signori vi informiamo che il negozio, che adesso non mi ricordo più come si chiama, infiltrazione tessile una cosa così, chiuderà tra quindici minuti.

e allora mi son subito guardato intorno e li ho visti. gli uomini. ho sentito il loro comune sospiro di sollievo. c’era chi si alzava dalla seggiola nell’angolo, chi tirava fuori dei gran sorrisi, chi andava verso la signora dicendo eh sì stanno proprio per chiudere amoremio, c’era uno di quelli che gironzolavano che ha smesso di gironzolare e si è messo a ballonzolare felice.

è stata una cosa bellissima. come nei cartoni animati quando arriva la primavera nel bosco incantato e fanno vedere i germogli che germogliano, i fiori che fioriscono, le piante che verdeggiano, era tutto un rifiorire di maschi sparsi qua e la per il negozio.

la cosa interessante era anche che era chiaro che le signore e signorine, nel corso di tutto questo tempo, non avevan fatto caso a nulla, non si erano mica accorte che i loro maschi eran stati tutto il tempo in uno stato di torpore quiescente e che poi si eran risvegliati in quella maniera che a vederli erano anche belli.

voglio dire, la cosa che mi ha lasciato un po’ così era proprio quella, che ci siano questi automatismi di coppia per cui le persone vanno a fare delle cose insieme anche se non ne hanno nessuna voglia. e mentre uno dei due è lì che pensa al suicidio, l’altra si fa completamente i cazzi suoi senza badare al fatto che l’altro sta pensando di suicidarsi. questo, dico, nel caso specifico di questo negozio che non mi ricordo come si chiama, istigazione tessile, una cosa così. poi immagino che succeda la stessa cosa ma tutta al contrario quando gli uomini portano le loro signore alla partita del pallone o altre brutture simili.

e poi, niente, siamo andati a cena in questo posto a eraclea ci siamo sfondati di pesce, è un posto che ve lo consiglio anche a voi, si spendono un sacco di soldi ma ne vale la pena.

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poi dice che gli imprenditori si suicidano. per forza. pt.II

un po’ di tempo fa avevo scritto questa cosa, magari ve la ricordate anche. e niente, volevo dire che alla fine la scemata l’ho fatta.
prendendola un po’ larga, come al solito.

ogni tanto mi chiedo se questo approccio non sia solo una mascherina che uso per nascondere il fatto che non ho il coraggio di spendere i soldi che servono tutti in una volta per entrare semplicemente in un negozio e comprare la bici da corsa in carbonio, l’impianto stereo da ventimila euro, l’orologione, la chitarra più costosa, la macchina nuova, o anche quella storica ma già bella e restaurata. oppure per andare in cerca di uno spazio dove lavorare già perfetto pronto e pulito, anziché mettere apposto i capannoni settecenteschi abbandonati.

poi però ci penso bene e no. è proprio che la parte che mi piace di più, nel possedere degli oggetti, è quella di  prenderli smontarli capire come funzionano aggiustarli metterci un sacco di tempo rovinarmi le mani imparare delle cose fare dei lavori che non avevo mai fatto prima.

anche questa volta, come tante altre in passato, ho un po’ la sensazione di aver fatto il passo più lungo della gamba. però oh, vedremo come andrà a finire.

visto che l’impresa è abbastanza titanica, stavo anche pensando che se qualcuno ha voglia di approfittare dell’occasione per scoprire come si rimette insieme una macchina che è stata nuova più di quarant’anni fa e che negli ultimi vent’anni è rimasta ferma a far ruggine può tranquillamente venire qui e darsi da fare.

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brevissimo colloquio con un uomo schifoso.

ieri sera mi son trovato su un terrazzino a far due chiacchiere veloci con un amico.

e siccome era qualche giorno che non ci vedevamo ci stavamo aggiornando sugli eventi recenti. che le ultime settimane son state un po’ rocambolesche.

a noi maschi ogni tanto piace questa cosa del trovarci lì due minuti su un terrazzino a tirar le somme della vita guardando il tramonto, quella situazione da eroi cinematografici sopravvissuti ad un’ora e tre quarti di film americano spara e picchia duro.

e insomma eravamo lì come due bruce willis a far chiacchiere veloci, non c’era il tempo per fare analisi approfondite, che ci sarebbe voluta una serata intera ma ormai siam disabituati a far queste cose noi maschi sopravvissuti è tutto un cavarsela da soli, l’amico del cuore cui confidare i problemi ci suonava già male ai tempi delle superiori, figurati ora che abbiam quasi quarant’anni. e quindi, per tirar le somme, ad un certo punto dicevo una cosa come guarda io ce l’avrei anche una condotta da seguire, un modo mio per star tranquillo. solo che a forza di guardarmi intorno e veder situazioni brutte e logorate, ad un certo punto mi sento come il vecchio che si infila in contromano in autostrada e si incazza perchè son tutti che vanno dalla parte sbagliata.
e il mio amico mi ha guardato mi ha detto beh io ci son dei giorni che vorrei una bella lobotomia.
sì?
sì. farmi lobotomizzare, con il rivolo di bava e tutto il resto, non capire un cazzo, non vedere le cose. andare in giro contento.

cito testualmente pt.XIII

la leonessa si è ricongiunta al suo cucciolo e tutto va bene nella giungla.

 

kill bill vol.II, Buena Vista International, USA 2004, soggetto e regia di Quentin Tarantino.

questo fine settimana non si va a mangiare la pizza.

mi è arrivata una raccomandata son dovuto andare a ritirarla in ufficio postale fare una coda di mezz’ora era un avviso dell’agenzia delle entrate.

dice questo avviso dell’agenzia delle entrate che nel modello unico del duemilaetredici son stati fatti degli errori che devo dare loro dei soldi e che bisogna che li paghi entro trenta giorni questi soldi che devo allo stato, altrimenti potrei ricorrere in sanzioni. e che però, volendo, posso anche fare richiesta per pagarli a rate.

ventuno euro e cinquanta centesimi.

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nell’ombra

la cosa più estenuante del vivere è la sensazione che non ci sia un nesso tra la condotta seguita e i risultati ottenuti. io non so dire con certezza se sia colpa dell’evoluzione della società, oppure solo colpa mia. ma in questi anni i basamenti su cui mi avevano insegnato ad appoggiarmi si sono sgretolati tutti sotto i miei piedi. un po’ alla volta, in maniera inesorabile.

mi avevano insegnato che se mi fossi comportato bene tutto sarebbe andato bene, che se avessi studiato avrei avuto una vita migliore, che se mi fossi impegnato a fondo avrei visto i frutti del mio impegno, che se avessi amato sarei stato amato. e poi alla fine mi sarei pure guadagnato il paradiso. poi una bella domenica di ottobre mi son trovato seduto in mezzo a un prato con la ozy a guardar le montagne e ho realizzato che tutte le cose che mi hanno insegnato si sono rivelate col tempo delle solidissime fesserie. le basi sono evidentemente altre. il problema vero è che mi sembra sia ormai un po’ tardi per ripartire da capo ad appoggiare la vita su basi diverse. sempre sperando di riuscire a capire quali siano quelle giuste. illustration-for-dante-inferno-by-sandro-botticelli-inferno-942452378

che poi magari esplodo.

quando mi vedete che faccio il puro, che mi vien l’odio a vedere le coppie che si tradiscono, o perchè mi stanno strettissime le dinamiche di sottomissione familiare, quando vado in bestia perché non riesco ad accettare che il lavoro arrivi solo nelle mani di chi ha il papà giusto, l’amico giusto, il culo giusto da leccare, quando vado via di testa perché vengono considerate più elevate socialmente le persone piene di debiti con le banche, che evadono il fisco, che lasciano a casa famiglie per far fallire aziende e girano comunque col macchinone, quando mi vedete incattivito perché dico che mi sento circondato e che non capisco più cosa devo fare per tirare avanti senza farmi venire un fegato grosso così, ecco, quando faccio il puro non dovete pensare che faccio il puro perchè son nato ieri e son troppo scemo per capir come funziona la vita. faccio il puro perché sono in giro da abbastanza tempo e ho visto tanta tanta tanta di quella roba brutta che magari non mi considero infallibile, ma diciamo che un’opinione sulla gente che vedo girarmi intorno me la son già bella e fatta.

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ashes.

ci avete fatto caso, vero, che questo pur essendo il blog di un fotografo è un posto dove di fotografia si parla molto raramente. che una volta questo sito dove siete adesso si chiamava tushio.com ed era normale che si parlasse dei cavoli miei in generale. ora da un po’ di tempo si chiama sposilove.com quando gli ho cambiato nome ci si aspettava una svolta epocale, una concentrazione grande sulla faccenda delle foto di cerimonia, dei post tematici per attirare i futuri sposi sui miei servigi.
e invece non è successo, ho continuato a raccontare i cavoli miei in generale, parlando della fotografia solo quando non potevo farne a meno.

la cosa, tra l’altro, funziona anche. nel senso che il giochino del fotografo pubblicitario che i matrimoni li fa solo ogni tanto, e sul suo blog parla dei cavoli suoi senza far l’invasato dell’emozione matrimoniale, è un giochino che piace ha il suo riscontro. e infatti di matrimoni ne faccio pochissimi, esattamente quanti ne vorrei fare, e le richieste mi arrivano sempre da delle personcine a modo, mi piace.

e allora, volevo raccontare, pur parlando qui molto raramente di fotografia, non è che della fotografia mi interessi poco. ieri per esempio siamo andati a pordenone a vedere una mostra. che in realtà volevamo vederne due, volevamo andare a villa manin a codroipo a veder la mostra di man ray e poi andare a pordenone a vedere quella di pierpaolo mittica. poi invece dopo pranzo abbiam fatto un pisolino che eravam stanchi, si è fatto tardi. man ray andremo a vederlo la prossima volta, siamo andati a vedere solo la mostra di pierpaolo mittica.

di questo fotografo pierpalo mittica non sapevo grandi cose. me ne parlava una mia amica collega fotografa, la silvia, anni fa, che mi diceva cose molto belle su di lui, mi diceva che è un fotoreporter molto bravo. poi io purtroppo non avevo mai approfondito, ma insomma nella testa mi era rimasto questo nome di questo fotografo. e quando recentemente ho visto pordenone tappezzata dei manifesti che annunciavano l’imminente mostra con le sue foto ho pensato che era la volta buona che andavo a vederle le foto di questo fotografo pordenonese.

quando ho iniziato a fotografare avevo vent’anni volevo fare il fotoreporter, da grande. ho iniziato a fare questo mestiere perchè volevo prendere e andare nei posti brutti del mondo a fotografare per raccontare quello che succede. non avevo niente da perdere non avevo una casa non avevo un’auto, non avevo un cane, con la morosa ci si lasciava ogni due tre giorni, da casa dei miei sono andato via che avevo diciannove anni. di cose da perdere, qui, non ne avevo nemmeno una, quello che desideravo fare era mollare tutto e partire per il mondo a fotografare schivando pallottole con la scritta press fatta col nastro adesivo sulla schiena del gilet. voi magari non lo sapete, non avete visto i film giusti non siete mai stati in guerra, i fotoreporter nelle situazioni di merda quando la gente spara prendono il nastro adesivo colorato e scrivono la parola press, stampa, sulla schiena del gilet, o della giacca, insomma sulla schiena. che così, forse, il cecchino di turno si mette una mano sul cuore e non li ammazza.

e quando ho iniziato a fotografare, era il millenovecentonovantotto, per tre anni di fila prendevo la moto, andavo nei balcani, era appena finita la guerra in bosnia, andavo in bosnia andavo in kosovo facevo le fotografie per raccontare come si stava in un paese dove era appena finita la guerra. quelle fotografie me le han poi pubblicate, ho fatto anche delle mostre, le ho stampate per bene sono andato a fare il giro delle agenzie fotografiche milanesi, ma non c’è stato mica verso di mollare tutto e farmi mandare a fare le fotografie nei posti dove ti sparano addosso. che le agenzie le foto di quei posti lì le compravano già a quei tempi, che era già arrivato internet a spaccare i maroni, le compravano dai fotografi locali. mica mandavano l’italiano a farsi ammazzare. e per andare invece a fare i reportage nei posti di merda dove magari non ti sparava nessuno, ma dove c’era da raccontare le cose brutte che succedono, cosa ne so, in india, in russia, in cina, in quei posti dove servirebbe che qualcuno andasse a far delle foto per far sapere alla gente che sta qui qual è il prezzo per il loro benessere, mi spiegavano le agenzie che per andare in quei posti lì a fotografare ci dovevi andare a spese tue. mica ti stipendia nessuno per fare i reportage. decidi che vuoi andare nelle miniere di diamanti africane per far sapere alle fidanzate italiane che i diamanti che si fanno regalare arrivano tutti, ho detto tutti, sì, dalla schiavitù? bravo. tiri su in qualche modo i soldini che ti servono ti paghi il viaggio vai, cerchi di non farti ammazzare ti mantieni per le settimane, per i mesi che servono per trovare i contatti conoscer le persone giuste riuscire ad entrare nelle miniere fotografare gli schiavi che estraggono i diamanti poi torni qua sviluppi i rullini e ti metti a fare il giro delle agenzie e delle case editrici sperando di trovare qualcuno interessato a comprare le foto che hai fatto. poi con quei soldi che guadagni, se te li danno, un po’ li usi per pagare le bollette e l’affitto, un po’ li usi per organizzare il prossimo viaggio, il prossimo reportage fotografico.

a vent’anni ricco non ero, soldi da parte non ne avevo, la capacità per trovare dei finanziatori neanche, avevo si e no i soldi per comprarmi le macchine fotografiche, non ce l’ho mica fatta a fare il fotoreporter. poi la vita ha fatto il resto. ho fatto sì il mestiere che volevo fare, con delle soddisfazioni anche grandissime certe volte, ho aperto uno studio fotografico mio dove son contento di arrivare ogni mattina, ho una casa col giardino, ho un cane, ho un’auto bellissima, una bici, una morosa che speriamo vada tutto come deve andare, degli amici intorno a cui voglio un bene dell’anima e son molto contento. però non ho fatto il fotoreporter.

ieri, dicevo, siamo andati a vedere la mostra di pierpaolo mittica. e tra tutti i sentimenti che si potevano provare a una mostra di fotografie di reportage, io ho provato ieri quello che odio più di tutti. che è il sentimento dell’invidia.
una cosa che non sopporto, nella vita, è invidiare gli altri. e quando mi accorgo che sto invidiando qualcuno, mi sale un dolore così grande, vorrei sparire dal mondo. mi vergogno. perché con il culo gigantesco che mi son fatto per arrivare fin qui, per le cose belle che mi son capitate, e anche per le cose brutte, io vorrei tanto essere sereno così come sono, senza dover provare invidia per nessuno. per fortuna è una cosa che mi succede molto raramente.

fotografi di reportage nella vita sono andato a vederne tanti, le loro mostre. e se ho cominciato a fotografare lo devo a cartier bresson, essenzialmente. solo che mica ho mai provato invidia per cartier bresson, per sebastiao salgado, per robert capa, per quegli altri mostri sacri nel mondo della fotografia, son persone talmente lontane con vite così diverse. non posso mica fare il paragone per riuscire a provare invidia.

e invece, le foto di pierpaolo mittica, sono divise in sezioni, dei posti che ha girato in vent’anni di lavoro, la prima sezione proprio le prime foto che vedi appena cominci il giro della mostra son le foto che ha fatto in bosnia e in kosovo, nel millenovecentonovantasette. è partito da lì, gli stessi posti dove son stato io un anno dopo. e pierpaolo mittica non è mica tanto più vecchio di me. lui è del settantuno, io del settantotto. di lui non so niente, della sua vita, della sua storia, di come gli è andata, se aveva dei finanziatori, se era ricco di famiglia, se era povero, però mentre guardavo le sue foto fatte in bosnia e in kosovo ho pensato che anche lui in qualche modo ha cominciato da lì, che quando c’è stata la guerra lui è partito, giovane più meno come lo ero io, con la sua macchina fotografica, che non lo conosceva nessuno e con la voglia di fare da grande il fotoreporter. poi, ho immaginato, è tornato con le fotografie e si deve esser fatto il giro delle agenzie fotografiche e delle case editrici per trovare qualcuno che gliele comprasse e pubblicasse. e poi un po’ alla volta è andato avanti ce l’ha fatta è diventato un fotoreporter, vive facendo proprio quel mestiere lì. non ha dovuto ripiegare su altre cose pur di poter dire che faceva il fotografo. è stato bravo. molto bravo. e io a guardare le sue foto ieri ho provato quel sentimento che odio, l’invidia.

la mostra è bellissima. l’ingresso costa tre euro. se siete dei fotografi, o anche se siete quelli che gli piace di pensare di essere dei fotografi, andate a vedere a cosa serve questo mestiere. che serve a raccontare. e se anche non ve ne frega una mazza della fotografia in generale, potrebbe comunque farvi bene vedere cosa succede in giro nel mondo mentre stiamo qui a goderci l’agio in cui ci è capitato per caso di nascere.

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certe volte la gente è strana.

son tre notti di fila che dormo poco, stamattina mi son svegliato alle sei del mattino mi son rotolato un po’ nel letto poi mi son tirato su con calma ho fatto la doccia alla ozy che è stata in gita qualche giorno dai suoi amici bassotti ciuloni è tornata che puzzava come il demonio. già ieri sera si intuiva che c’era bisogno di fare un lavaggio straordinario, quando mi son svegliato ho avuto la conferma, una roba che non si respirava tra me e lei non si capiva chi aveva più bisogno di una doccia, diciamo pure che ne aveva più bisogno la ozy ma anche io che son tre notti che non dormo mica profumavo di mughetto, ci siam lavati un po’ tutti. poi mi son ricordato che la cucina aveva bisogno di una sistemata, ho  pulito la cucina poi son venuto in studio. con calma. che mi son fermato a fare colazione al bar ho incontrato uno che conosco abbiam fatto due chiacchiere.

e mentre venivo qui in studio ho pensato una cosa. che non sarò ancora diventato ricco, anche se mi riprometto di diventarlo prima o poi, ma almeno una cosa buona nella vita l’ho fatta. avere un lavoro mio che la mattina non devo correre come un deficiente per arrivare in orario, che posso fare le cose con calma, cominciare quando voglio, finire quando voglio.

che il dolore più grande da un punto di vista scolastico e lavorativo me l’ha sempre dato l’obbligo di dovermi svegliare presto per sottostare agli orari di qualcun altro, non potermi tirare su con calma. e infatti adesso non è che mi sveglio alle dieci del mattino. mi sveglio comunque prestissimo. ma con la libertà interiore che se mi vien voglia di girarmi dall’altra parte, è un problema solo mio.

poi, volevo dire, questa settimana abbiamo qui una ragazza in studio, una stylist. stiam facendo un lavoro per un cliente della moda bambino, abbiamo in studio questa collaboratrice esterna. e io non lo so, avrà ventitrè ventiquattro anni, è arrivata che ci dava del lei, a me e al mio socio, il primo giorno. le ho spiegato subito che qui non ci si dà del lei, siam gente serena giovane dentro. poi ieri ad un certo punto io avevo dormito poco il mio socio aveva dormito meno di me, era pomeriggio avevamo un umore un po’ così abbiam detto oh, facciamo che andiamo a mangiarci un gelato. e siamo andati. io, il socio, la collaboratrice esterna. e mentre ero lì con la coppetta in mano, in piazza flaminio a guardar le case dall’altra parte del meschio a pensare tra me e me ai miei casini, avevo in parte questa collaboratrice esterna che aveva voglia di far conversazione mi ha fatto una raffica di domande anche molto personali io ad un certo punto mi son dovuto imbarazzare.

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