Sig. Spruzzetto buongiorno.
Le sto inviando in questo momento le foto in alta risoluzione che precedentemente ho consegnato alla sua agenzia di comunicazione. A breve le arriveranno due email da Wetransfer contenenti i link per scaricare tutto il lavoro fotografico che per ragioni di peso è stato diviso in due invii diversi.
Sono stato questa mattina in banca a versare il suo assegno. Alla signorina in cassa ho chiesto di effettuare un controllo per verificare che l’assegno fosse coperto.
Nel chiederglielo ho provato una profonda vergogna. Nei suoi confronti.
Mi vergogno di trovarmi nella condizione di doverle ricordare che, nel momento in cui si compra qualcosa, è importante che il compratore, il cliente, abbia la copertura economica per poi pagarla, come è importante, nel momento in cui si accettano le condizioni poste dal venditore, o dal fornitore, lo chiami come preferisce, il compratore abbia poi la capacità di rispettare le condizioni accettate.
Mi vergogno perché mi sembra inammissibile che un fotografo trentasettenne debba mettersi a spiegare concetti così banali a un dirigente d’azienda ultracinquantenne.
Io per lei ho eseguito un lavoro. Mi avete cercato voi, mi avete chiesto un preventivo, lo avete accettato e io con tutta la passione che ho per il mio mestiere ho lavorato al meglio delle mie capacità e consegnato il lavoro nei tempi da voi richiesti.
Avete utilizzato le foto da me prodotte e avete stampato il vostro catalogo con soddisfazione.
Come da accordi da voi accettati ho inviato la mia fattura che non è poi stata pagata nei tempi previsti.
In qualità di responsabile ho provato a contattarla telefonicamente per due settimane e per due settimane si è fatto negare. Quando sono venuto di persona a chiederle spiegazioni ha cercato di mandarmi fuori dall’azienda prendendomi a spintoni e, cosa peggiore tra tutte, mi ha chiamato disonesto.
Vede, lei mi dà del disonesto, mi spintona, probabilmente è abituato male. È abituato ad avere a che fare con fornitori che non vengono pagati e che se la prendono in saccoccia o che al massimo mandano un decreto ingiuntivo e poi se la vedranno gli avvocati.
Questa volta le è andata male. Ha trovato me, la peggior persona che lei potesse provare a trattare come tratta normalmente i suoi fornitori. Ha trovato me che sono rimasto lì fino a quando non sono uscito con un assegno a saldo del debito che la sua azienda aveva nei miei confronti.
Lasci che le dica che da un certo punto di vista, però, le è andata bene. Sono uno di quelli che rimpiangono i tempi in cui se lei mi avesse dovuto dei soldi guadagnati onestamente, mi avesse preso a spintoni e mi avesse dato del disonesto, ecco io rimpiango i tempi in cui mi sarei sentito libero di farmi andare il sangue alla testa, di prenderla per un orecchio e farle fare il giro della zona industriale a pedate nel culo.
Sarebbe stato un gesto dalla duplice utilità. Sarebbe servito a me per tornare a casa a mente serena e, cosa più importante, sarebbe servito a lei per farle passare una volta per tutte la voglia di fare il furbo, a insegnarle a rispettare quelle elementari leggi sui rapporti commerciali.
Cose di questo genere purtroppo non si possono fare senza poi finire in questura. Mi creda, è un peccato. Ma non si preoccupi, è solo un mio rammarico. Devo fare i conti col fatto che sono nato nell’epoca sbagliata e forse mi sarei trovato più a mio agio nel medio evo. O anche solo negli anni settanta, non saprei.
La cosa che mi dispiace tantissimo, in merito a questa vicenda, è proprio questa. Che anche se sono tornato a casa coi soldi che mi doveva, non le ho insegnato nulla. Queste piccole vittorie, con gente come lei, non servono a nulla. Non ho contribuito a migliorare il posto in cui vivo. Lei non racconterà niente a nessuno, è fin troppo abituato a fare delle figure meschine, ad essere lei il disonesto, a farla franca il novantanove per cento delle volte, a giocarsi e a perdere senza rimpianti l’unica faccia che ha.
Sa bene che le andrà meglio la prossima volta che proverà e riuscirà a non pagare qualcun altro.
Sono tornato a casa coi miei soldi, ho ottenuto quel che volevo ma ancora mi vergogno per lei. Per la persona che è, e per tutte le persone come lei.
La sua condanna, sig. Spruzzetto, è essere la persona che è. La sua condanna è dover rispondere per tutta la vita “tutto bene” quando la sua signora le chiede come è andata oggi al lavoro. La sua condanna è di entrare in un concessionario e venirne fuori con un’inutile e costosissima auto presa a leasing che le servirà per andare a bere l’aperitivo vestito con abiti firmati di seconda scelta raccontando ai suoi pari dove trascorrerà le ferie. La sua condanna è quella di far parte di una classe dirigente che va in giro con il colletto della polo alzato per convincere tutti di essere vincente, un esempio da seguire.
La sua condanna è quella di essere una delle cause dello sfacelo che ci circonda.
Io mi vergogno. E le chiedo cortesemente di trovare un minuto per vergognarsi un po’ anche lei.
Potrebbe giovarle e potrebbe addirittura contribuire a migliorare un po’ il mondo.
Stia bene.
Aurelio Toscano – Fotografo
